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E in principio fu Mario Segni che con il referendum sull’abolizione della legge elettorale proporzionale del tempo avviò, in parallelo con la rivoluzione giudiziaria del 1992/94, la destrutturazione dell’organizzazione istituzionale del Paese. La nuova situazione consentì a Silvio Berlusconi di ereditare la continuità del vecchio centrosinistra (Dc, Psi, Laici) e di rappresentare l’alternativa ai comunisti (poi ex) scomparsi dopo la caduta del Muro.

Il 1994 fu dunque l’anno di inizio di un nuovo percorso della Repubblica italiana, così definito per il semplice cambio della legge elettorale, che muterà ancora nel 2005 con la legge Calderoli(Porcellum) e con la quale si voterà nel 2006, 2008, 2013. Arriviamo ai giorni nostri e le regole elettorali vengono di nuovo cambiate: “rosatellum”, è il nome dell’attuale legge, in omaggio al primo sottoscrittore della stessa che non pochi guai sta provocando alla governabilità. Bisogna riconoscere che questo pastrocchio di riforma elettorale lo hanno voluto tutti: Berlusconi, Salvini, Grillo e non ultimo Renzi operando attivamente, con discrezione o in silenzio. Tutti e dico tutti, sapendo di non poter vincere con le loro sgangherate proposte politiche, cercano di affermarsi utilizzando la scorciatoia delle regole elettorali e istituzionali.

In questo si è mostrato (pessimo) maestro soprattutto Matteo Renzi, il quale si è fatto bocciare (meno male) dalla Consulta l’italicum, legge elettorale da lui ideata, e successivamente il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 dal 60% dell’elettorato. Non contento e tirandosi dietro gli altri protagonisti del palcoscenico politico ha brigato per varare un modello elettorale quasi gradito a tutti: quelli che volevano vincere senza difficoltà e quelli(M5S) che avevano capito, facendo finta di niente, che avrebbero ricavato i maggiori vantaggi dal “rosatellum”.

L’epilogo finale qual è stato? Quello che è sotto gli occhi di tutti, per cui la palude, giorno dopo giorno, si va sempre più allargando, diventando insopportabile e procurando non pochi danni al Paese. I timori e le preoccupazioni degli italiani, soprattutto dei ceti medi e popolari ne sono la testimonianza vivente. La triste conclusione alla direzione Pd di ieri è il plastico esempio della non-volontà di ricercare nobili compromessi per assicurare governabilità all’Italia.

Martina, definito da alcuni “esecutore testamentario” del partito, sposa la linea dell’ex segretario e chiude al M5S, al trio Salvini, Meloni, Berlusconi e si affida alle decisioni del Presidente Mattarella.

È il segno di una chiara e pericolosa impotenza che certifica la mancanza di visione di governo, nonostante il Pd abbia guidato per sette anni il Paese. O forse si vuole ritornare alle urne per una clamorosa rivincita? Altri sbocchi non se ne vedono. Lo sconforto travolge le coscienze più sensibili. La delusione tocca più o meno tutti. Mai come adesso si avverte la drammatica assenza di partiti veri, capaci di assegnare nobiltà e di illuminare la politica.

La direzione Pd e la non volontà di ricercare nobili compromessi

E in principio fu Mario Segni che con il referendum sull’abolizione della legge elettorale proporzionale del tempo avviò, in parallelo con la rivoluzione giudiziaria del 1992/94, la destrutturazione dell’organizzazione istituzionale del Paese. La nuova situazione consentì a Silvio Berlusconi di ereditare la continuità del vecchio centrosinistra (Dc, Psi, Laici) e di rappresentare l’alternativa ai comunisti (poi ex) scomparsi dopo la…

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