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“Con tutta l’attenzione sull’ingerenza russa nelle elezioni del 2016, il danno fatto dal vigoroso e continuo spionaggio della Cina contro gli Stati Uniti è passato in secondo piano”, attacca così un op-ed di David Wise pubblicato all’inizio di marzo dal New York Times (dunque ancora al netto delle tensioni attuali con la Russia).

Basterebbe già da sé questo inizio firmato dal decano del giornalismo spionistico del Nyt (suo “Tiger Trap: America’s Secret Spy War with China” del 2011, il libro zeppo di testimonianze dei funzionari del controspionaggio sulla presenza di spie cinesi sul territorio americano) per inquadrare la situazione che fa da contorno al confronto a tutto campo tra Stati Uniti e Cina; si passa dal settore commerciale e arriva alle mosse geopolitiche più corpose (qualche settimana fa, per esempio, la portaerei americana “Uss Vinson” ha attraccato in Vietnam per la prima volta dopo la guerra: ora Washington e Hanoi sono sullo stesso fronte da dove cercano di contrastare la Cina, e il Mar Cinese Meridionale militarizzato dalle rivendicazioni di Pechino è un ottimo teatro per certe attività; la scorsa settimana i cinesi hanno schierato, in una passerella militare, 40 battelli prontamente ripresi dai satelliti che tengono sempre sotto osservazione quelle acque delicate).

Lo scenario dietro a quanto analizzato da Wise lo ha raccontato Cecilia Attanasio Ghezzi e si inquadra in un contesto complesso. Washington denuncia da tempo le attività illegali di spionaggio condotte dall’intelligence cinese anche (soprattutto?) in ambito industriale — è pure per questi furti di proprietà intellettuale se assistiamo ai continui sviluppi dell’economia cinese, dicono (con circospezione) gli americani. Al tentativo di colpire queste pratiche scorrette, oltre a quello (praticamente impossibile) di limare lo sbilancio commerciale e all’altro puramente mirato al consenso America First, si legano decisioni prese dall’amministrazione Trump come quella sulle nuove tariffazioni per l’import dalla Cina, che suonano più tipo sanzioni punitive piuttosto che provvedimenti commerciali.

L’articolo della giornalista (tra le più esperte sugli affari orientali in Italia), pubblicato da Lettera 43, racconta del mondo sotto traccia delle spie cinesi dando un numero: negli Stati Uniti sono attive circa 25mila agenti cinesi e 15mila reclutatori (i dati arrivano da un aloro articolo del Washington Free Beacon, raccolti attraverso le parole del dissidente cinese Guo Wengui: un investimento da 3-4 miliardi di dollari all’anno per la Cina).

Scenografia: quanto arrivato al grande pubblico con gli ultimi provvedimenti sanzionatori contro la Russia, che hanno portato a galla il mondo sommerso dai benefit diplomatici delle spie di Mosca nascoste tra i palazzi delle ambasciate occidentali (non è un inedito, certo, basta aver seguito la serie televisiva “The Americans”). Siamo concentrati su questo (ahinoi reale, ndr) rigurgito di Guerra Fredda, scrive Attanasio come Wise, che ci sfugge la dimensione dello spionaggio cinese, ma “l’attività di intelligence è strutturale nell’elica del dna della Repubblica popolare cinese, e i suoi geni vengono da molto lontano” (“conoscere il proprio nemico è il primo passo per sopraffarlo”, è spiegato così il ruolo delle spie nel celebre manuale di strategia militare cinese “L’arte della guerra”).

Quello cinese è un lavoro minuzioso, a ventaglio, che impiega migliaia di attori impegnati a raccogliere informazioni anche di minimo valore, utili per ricostruire poi un puzzle globale. Un’attività che copre i centri di studio e pensiero, come le università e i laboratori di ricerca, le aziende, le istituzioni, sia sotto il volto umano di studenti, businessman, impiegati immigrati (l’intel classica), sia nel mondo cyber. A questa attività minuziosa e soft si abbina la linea dura: Pechino, secondo le fonti che hanno costruito un’inchiestona giornalistica del Nyt, avrebbe smantellato gran parte della rete della Cia nella capitale cinese (si parla di una ventina di persone eliminate, uccise o arrestate), mentre pochi mesi fa negli Stati Uniti è stato arrestato un presunto doppiogiochista. Contro questo sistema mesi fa s’è mossa l’agenzia per la sicurezza interna tedesca, BfV, e quella svizzera (che hanno denunciato le operazioni a ventaglio attraverso LinkedIn) Attanasio spiega che la forza di Pechino sta nel fatto che fondamentalmente i servizi segreti degli altri paesi hanno una conoscenza piuttosto limitata del mondo cinese.

 

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