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Se un vincitore c’è, nell’intricatissimo puzzle della guerra civile siriana, è possibile identificarlo per ora solo nella Russia e in Vladimir Putin. Gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno sgombrato il campo dai dubbi sul possibile scoppio di un conflitto di amplissime proporzioni che coinvolgesse le potenze della Nato contro la Russia: come era infatti prevedibile, la montagna non ha partorito altro che un “topolino”. I minacciosi tweet lanciati da Donald Trump nei confronti di Bashar al-Assad e della Russia si sono tradotti nel lancio di poche decine di missili verso un centro siriano di ricerca, sospettato di essere adibito alla produzione e lo stoccaggio di armi chimiche. Ma di certezze in questa vicenda non ve ne sono e dunque, anche per evitare conseguenze ben più pesanti, Stati Uniti, Francia e Regno Unito si sono limitati ad un intervento dalle finalità puramente dimostrative.

In altre parole, il Presidente statunitense ha perseguito essenzialmente due scopi. Il primo, ben più pressante, è quello di trovare costantemente dei diversivi alle polemiche e agli scandali che colpiscono il suo operato, di volta in volta differenti, dai collegamenti con la Russia in campagna elettorale alle rivelazioni di natura sessuale, fino alle difficoltà in cui versa il Partito repubblicano. Il secondo, che risponde invece ad esigenze di politica estera, era quello di rimarcare la propria diversita’ dal predecessore Obama che propugnava la linea del leading from behind e di non rimanere inerte di fronte al superamento di quella che era stata definita una “red line”, ovvero l’utilizzo di gas contro la popolazione civile.

Trump è riuscito nel suo intento? Non mi sembra che il blitz della scorsa settimana possa essere considerato un successo duraturo nonostante la dichiarazione che la missione era stata compiuta. Trump, costretto a dare un segnale per non essere tacciato di completo disinteresse e disimpegno, in realtà non è in grado di spostare gli equilibri in Siria e rischia anzi di essere preso in contropiede dagli alleati Israeliani e sauditi. Usa ed Europa stanno perdendo la Turchia, che fa il gioco dell’Iran ma rimane comunque membro della NATO dando vita ad una situazione paradossale. Russia e Ankara veri vincitori, con Teheran che riesce ad avere influenza anche grazie ad un Iraq che è ormai irrilevante dal punto di vista dell’influenza geopolitica. Gli alleati europei ad eccezione di Francia ed Uk non sembrano invece voler andare nel sostegno agli Usa oltre scontate dichiarazioni di atlantismo, di fiducia nel ruolo dell’ONU sempre piu’ privo di prestigio ed efficacia e di difesa dei diritti civili delle popolazioni colpite .

Che fare, dunque, per riportare Washington a contare in Medio Oriente ed a mantenere la sua presenza militare sul terreno senza doversi affidare per forza alle guerre per procura delegate di volta in volta a Tel Aviv, a Riyad, o addirittura alle forze ribelli siriane con il risultato perverso di favorire indirettamente i terroristi fanatici dell’Isis? Innanzitutto, va ricostruito un rapporto con la Russia, che vada al di là delle manifestazioni di amicizia o di ostilità lanciate sugli account social del Presidente. Mosca è un interlocutore da cui non si può prescindere per conseguire la stabilità nel Medio Oriente, e come tale va trattato: insistere sulla via delle sanzioni non solo è dannoso per le economie occidentali, ma nel lungo periodo rischia di non ottenere nulla neppure a livello diplomatico. In secondo luogo, non va fatto l’errore di isolare nuovamente l’Iran: l’accordo raggiunto a Ginevra sul nucleare va preservato e sarebbe un errore molto grave se gli Usa decidessero di denunciare il trattato. Le dimissioni dello Speaker del Congresso Paul Ryan sono la cartina di tornasole che il clima politico interno non è molto favorevole a Trump ed ai Repubblicani, a soli sei mesi dalle elezioni di mid-term.

E poi ci sono l’Europa e l’Italia. Come purtroppo è accaduto di frequente negli ultimi anni, le potenze del continente si sono mosse in ordine sparso: se Francia e Regno Unito si sono affrettate a rinnovare la loro solidarietà atlantica rispondendo all’appello di Trump, l’Italia – anche a causa dell’attuale stallo politico –ha preferito non partecipare in alcun modo all’operazione della scorsa settimana. L’auspicio è che il prossimo governo italiano sia in grado di avere un ruolo autorevole e perseguire con visione strategica la “questione mediterranea”, propiziando anche una mediazione con la Russia e cercando di rinnovare lo spirito di Pratica di Mare, dove nel 2002 si raggiunse lo zenit dei rapporti tra la Nato e Mosca. Un approccio cooperativo e pragmatico è l’unico in grado di risolvere l’impasse siriana e di restituire stabilità alla zona.

risso

Guida per un nuovo zenit nei rapporti fra Occidente e Russia

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