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L’Italia non nasce una, né ha una vera tradizione di unità politica. Per esempio, Siena per secoli combatte Firenze e poi dentro Siena stessa ci sono rivalità secolari tra i rioni. La nazione si è fatta cucendo e lenendo per anni gli strappi di un accorpamento politico passato attraverso una mezza dozzina di guerre contro stranieri ma contro italiani stessi. Nel 1943 c’erano italiani che scelsero di combattere altri italiani per essere fedeli ai nazisti e subito dopo ce ne furono altri disposti a schierarsi contro i sovietici sempre contro altri italiani.

In questo terreno friabile la faziosità del linguaggio e dei gesti può portare fratture insanabili. Esaspera ed estremizza contraddizioni e contrasti. Diventa sintomo e poi viatico dell’autoritarismo. Ma l’autoritarismo non ricuce una nazione. Crea lesioni che spargono sangue ovunque e spesso finisce per uccidere chi lede. Inoltre, solo l’ombra dell’autoritarismo italiano dà i brividi. Un secolo fa, prima la Russia cambiò regime e schieramento politico, poi l’Italia la seguì con un colpo di stato di segno opposto ma parallelo. Nel frattempo, cresceva in Europa la voglia di dittatura e in Germania scaldava i motori il partito nazista che avrebbe distrutto secoli di storia europea. Cento anni dopo la situazione è molto diversa? In Russia qualche anno fa, il presidente Vladimir Putin ha spostato gradualmente il Paese su una rotta di collisione con l’Occidente. Come cento anni fa per i Soviet, la prospettiva è opposta per Putin.

In Italia ha preso il potere un partito che rivendica l’eredità di Mussolini. In mezza Europa soffia un vento autoritarista e in Germania sta crescendo l’AfD, apertamente filonazista. In Spagna Vox e in Francia RN possono sembrare gli eredi di Franco e di Petain. I motivi dell’ondata sono paralleli. Allora era la gara ad acquisire spazio coloniale in Africa, oggi è la difesa della migrazione da quelle ex colonie. Naturalmente è tutto diverso, il mondo è cambiato e le alchimie politiche sono altre. Ma c’è un’eco del passato che rimbomba.

Per questo, almeno in Italia è importante invece pensare agli anni ’50. In quel periodo spietato, quando l’Italia era capo di battaglia della guerra fredda, i partiti italiani restarono attenti a mantenere un senso di nazione senza cedere a tentazioni autoritarie. La coalizione intorno alla Dc non si piegò alle spinte per un golpe anticomunista, né i comunisti cedettero alle pressioni di una rivolta antidemocratica. Le pulsioni estremiste vennero tenute a bada, anche se con difficoltà.

Lo stesso Berlusconi e i suoi oppositori cercarono e trovarono sempre un luogo di conciliazione, anche a volte eccessivo, consociativo. La retorica estrema del vaffa day portò il massimalismo alla Masaniello al potere: aprire la scatoletta per mangiarsi il tonno. Da quello, tranne la parentesi di Draghi, il clima di faziosità pare aumentato. Cercare di imporre una riforma al premierato controversa in parlamento e tanto più con tassi di assenteismo al 50%, affermare da premier “o la va o la spacca”, come ha fatto recentemente il premier Giorgia Meloni, forse non è modo migliore per unire un’Italia già a pezzi. Perché così può andare solo in un modo, a spaccare tutto. Ciò va al di là del merito o meno della riforma.

Infatti, cercare di imporre una volontà, non ascoltare obiezioni giuste o sbagliate dell’avversario è contrario a cercare mediazione, una soluzione compromesso. Somiglia a “meglio un giorno da leoni”. Pare volere andare in guerra. Ma nella storia chi ha cercato il giorno da leone, la guerra la ha avuta. Solo, non c’è stato il giorno dopo e la guerra spesso l’ha persa. Personalmente, su queste pagine, non sono mai stato ostile a Meloni, anzi. Ma in democrazia il governo deve conquistare, sedurre, convincere gli avversari – non ci sono nemici se non chi vuole distruggere la democrazia. Gli avversari vanno affrontati con rispetto. Chi è al governo non può cercare la battaglia pena distruggere tutto e se stessi.

La querela recapitata alle 4 di notte al giornalista Massimo Giannini è al di là di ogni cosa un gesto di ostilità non necessario. Esso genera altra ostilità e moltiplica l’entropia del sistema che in ultima analisi favorisce l’opposizione e danneggia il governo. Un campanello di allarme sarebbe stato avvertito dalle esortazioni dei vescovi italiani. Con tutta la prudenza e circospezione del caso la Cei è sempre più esplicita nell’opporsi alla riforma dell’autonomia differenziata, che è un modo solo velato per dichiararsi anche contro il premierato.

In questo clima fragile il governo poi attende l’azione dell’Unione Europea che già nella seconda metà di giugno potrebbe aprire una procedura di infrazione con l’Italia. Il Paese, infatti, è inadempiente sugli impegni del Patto di stabilità e crescita e la commissione indicherà un piano di rientro triennale che potrebbe essere molto doloroso. Questo dolore sarebbe sale sulle ferite politiche e sociali attuali.

Sale sulle ferite da premierato controverso. La riflessione di Sisci

In democrazia il governo deve conquistare, sedurre, convincere gli avversari – non ci sono nemici se non chi vuole distruggere la democrazia. Gli avversari vanno affrontati con rispetto. Chi è al governo non può cercare la battaglia pena distruggere tutto e se stessi. La riflessione di Francesco Sisci

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