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Sicurezza nazionale, con uno sguardo a Pechino, o protezionismo – tecnologico in questo caso? Media e commentatori si dividono analizzando la mossa del presidente americano Donald Trump, che ha fatto ‘irruzione’ nel mercato dei chip bloccando il tentativo di Broadcom – produttore di microprocessori con sede a Singapore – di comprare la rivale americana Qualcomm in un’operazione da 142 miliardi di dollari.

OPERAZIONE FERMATA

L’acquisizione, forse definitivamente tramontata dopo quattro mesi intensi di proposte ostili rifiutate ripetutamente dall’ambita preda, sarebbe stata la più grande di sempre nel settore tecnologico.

L’ORDINE DELLA CASA BIANCA

Nell’ordine diffuso dalla Casa Bianca, il capo di Stato americano ha spiegato che l’acquisizione avrebbe minacciato la sicurezza nazionale americana. Per questo “il takeover proposto di Qualcomm da parte dell’acquirente è proibito e ogni fusione, acquisizione o takeover equivalente, a prescindere che sia diretto o indiretto, è a sua volta proibito”.

NUOVO PROTEZIONISMO?

Nonostante la mossa sia nelle prerogative del presidente, alcuni analisti la bollano come insolita e, probabilmente, riconducibile a una strategia commerciale di Trump maggiormente orientato al protezionismo. La scelta, d’altronde, ha seguito l’intervento, altrettanto irrituale, del Committee on Foreign Investment americano (Cfius), un comitato inter-agenzia del governo federale degli Stati Uniti che si occupa di analizzare le implicazioni per la sicurezza nazionale degli investimenti stranieri negli Stati Uniti.

IL RUOLO DEL CFIUS

Il panel, che in passato ha bloccato vari takeover di società Usa da parte di gruppi stranieri, di solito analizza un merger proposto solo dopo che i gruppi coinvolti hanno raggiunto un accordo. In questa occasione, invece, si era speso ordinando a Qualcomm di posticipare l’assemblea dei soci (originariamente prevista il sei marzo) per avere il tempo di studiare il caso. Durante l’assemblea, Broadcom puntava a far eleggere sei componenti all’interno del consiglio di amministrazione della compagnia americana. Se ci fosse riuscita, ne avrebbe preso il controllo della maggioranza semplice, portando avanti la sua battaglia per conquistare Qualcomm direttamente dal board di quest’ultima società.

L’OMBRA DELLA CINA

Diversi osservatori, invece, sono ad ogni modo convinti che queste azioni – soprattutto quelle della Casa Bianca – trovino la loro ragion d’essere nel timore, sempre più forte che la Cina possa utilizzare la tecnologia per danneggiare gli interessi americani. Nonostante Broadcom sia basata a Singapore (e avesse, tra l’altro, intenzione di spostare il suo domicilio negli Stati Uniti anche per far piacere a Trump), Washington temeva che con l’operazione Pechino avrebbe raggiunto la supremazia nel campo dei semiconduttori e nello sviluppo delle tecnologie per la prossima generazione delle reti mobile (5G). Un simile genere di timori ha spinto al recente stop dell’acquisizione di MoneyGram per mano di Alibaba e dell’accordo tra AT&T e Huawei, per citarne alcuni. A ciò va sommato che l’intelligence Usa ha recentemente detto pubblicamente, e messo nero su bianco in un report pubblico, che l’attivismo informatico di Pechino (e non solo) rappresenterà, nel corso del prossimo anno, la maggiore minaccia cyber per la sicurezza degli Stati Uniti d’America.

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