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“Non c’è nessuna discussione sul fatto che l’Italia appartenga o meno all’Ue o all’Eurozona”. Così il ministro dell’Economia Giovanni Tria in un’intervista al Washington Post allontana una volta per tutte i rumors di un “piano B” pronto per uscire dalla moneta unica. “L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Unione Europea”  continua il ministro, “quindi non soltanto appartiene all’Ue, ma è stata ed è ancora centrale”. Incalzato dalla corrispondente del Post Tria ha preso le difese del ministro per gli Affari Europei Paolo Savona, cui a fine maggio è stata sbarrata dal Quirinale la strada per il Mef per alcune sue posizioni critiche verso l’Eurozona: “Le persone possono essere critiche nei confronti dell’Eurozona. Stiamo discutendo le riforme. Ma avere una discussione non vuol dire che vogliamo uscire dall’Eurozona po far parte dell’Ue”.

Messi i puntini sulle i su una questione che non finisce di angustiare stampa e mercati internazionali, il professore di Tor Vergata ha spiegato punto per punto come riuscirà a trovare la quadra fra Tria Economics, richieste di Bruxelles e programma per il governo gialloverde. Punto primo: “diminuire il rapporto debito Pil, il deficit si allineerà”. Si, ma come? Solitamente la riduzione del debito pubblico, fa notare la corrispondente del WaPost a Roma Lally Weymouth, non si sposa granché con l’introduzione di una flat tax e di un reddito di cittadinanza, i due cavalli di battaglia di Lega e Cinque Stelle. “Questo non è un problema” risponde serafico Tria. Dopotutto “spendiamo molto denaro in molti enti previdenziali che hanno tutti lo stesso obiettivo – aiutare i disoccupati e quelli che vivono in povertà. Dobbiamo prendere questo denaro e usarlo per il reddito di cittadinanza. Dobbiamo poi cambiare la composizione della spesa pubblica. Non si possono duplicare enti previdenziali con lo stesso scopo”. Stessa ricetta per la flat tax: “se abbassi alcune tasse devi aumentare il gettito proveniente da altre tasse”.

Risposte secche, decise, che però ancora non convincono la cronista del Post. Che si chiede come riuscirà il governo Conte a mantenere tutte le promesse proprio alla vigilia della fine del Quantiative Easing della Bce e di un cambio della guardia a Francoforte non proprio promettente per l’Italia. Tria non sembra preoccupato. La fine del Qe, spiega il ministro, “influirà sull’economia europea in generale; in tutta l’Europa abbiamo un tasso di crescita basso, credo che dovremo lavorare su una politica per alzarlo”.

Tria elenca le due vie maestre per far ripartire la crescita italiana. Numero uno: “aumentare la quota di investimenti pubblici nella spesa”, tenendo sempre un occhio puntato sul debito pubblico, perché “abbiamo bisogno della fiducia dei mercati internazionali”. Numero due: “semplificare il sistema che permette gli investimenti stranieri; dobbiamo semplificare il fisco e ridurre i costi di transazione per chi vuole fare business in Italia”. Insomma, Tria si mostra ottimista sull”appetibilità del mercato italiano verso l’estero. La ghigliottina sui contratti a tempo determinato giunta con il decreto dignità di Di Maio, rassicura il ministro, non complicherà la vita agli investitori internazionali: “credo che il mercato del lavoro italiano sia il più libero in Europa e forse del mondo. Gli Stati Uniti devono fidarsi dell’Italia. I fondamentali della nostra economia sono ok, anche se abbiamo un basso tasso di crescita. Il nostro principale obiettivo è aumentarlo”. L’Italia, conclude Tria con una precisazione tutt’altro che scontata, non ha intenzione di innalzare barriere al libero mercato: “credo che dovremmo mantenere il mercato il più aperto possibile, i dazi diminuiranno il tasso di crescita”.

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Flat tax, reddito di cittadinanza e decreto dignità. La versione di Giovanni Tria al Washington Post

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