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A quattro settimane dal voto è già un po’ tempo di bilanci. Possiamo cioè cominciare a giudicare i protagonisti, con le loro parole e i loro gesti. Ecco allora farsi avanti un primo elemento abbastanza consolidato, che mette in risalto due figure in particolare, cioè Luigi Di Maio e Carlo Calenda. Sono loro gli interpreti più interessanti di questa campagna elettorale, loro due le novità che vanno affermandosi. Lo dimostra l’intervista di oggi al Corriere della Sera del ministro, che sposta l’asse delle sue riflessioni decisamente in campo politico attaccando duramente il leader della Lega Salvini e lo dimostra plasticamente la posizione del candidato premier del M5S, non a caso impegnato, proprio in queste ore, in dure polemiche “simultanee” con Renzi e Berlusconi. Insomma Calenda e Di Maio stanno trovando la loro cifra narrativa in questa campagna elettorale, cifra narrativa che diventerà il loro bagaglio politico per il domani e anche il dopodomani. Proviamo allora a guardarci dentro e a girarci intorno a queste due figure, cominciando dal Ministro dello Sviluppo Economico.

Calenda fa, negli ultimi tempi, tre scelte decisive. Prende le distanze da Renzi senza diventare un suo nemico, sceglie un profilo da ministro tonico e battagliero (vedi vicende pugliesi su TAP e Ilva o questione dei braccialetti in Amazon) e decide di non candidarsi alle elezioni, chiamandosi fuori da una contesa elettorale probabilmente di corto respiro (qualcosa di simile fanno anche Di Battista e Maroni, teniamolo a mente). Calenda cioè si colloca sostanzialmente “a lato” della campagna elettorale, quasi a cercare una posizione comunque rilevante ma separata, anche fisicamente, dal tritacarne delle urne.
Al tempo stesso però gioca senza mai tirare indietro la gamba, come dimostra la sua presenza domenica alla manifestazione della Lista Bonino, di cui è il supporter più importante e di cui garantisce il collegamento con la borghesia produttiva. E qui arriviamo al punto cruciale che lo riguarda, cioè la sua volontà evidente di essere il punto di riferimento di quel che resta del mondo dell’impresa e delle professioni, mondo che ha sperato (anni 2014-2015) in Matteo Renzi ma che presto ha smesso di tifare per il segretario del Pd. Calenda è perfetto per quel ruolo e lo sa benissimo: per questo giocherà senza indugio e lo farà ben oltre la data del 4 marzo, anche perché nessuno potrà sfidarlo su questo terreno, soprattutto se saprà trovare una linea d’azione comune con il sindaco di Milano, anch’egli espressione robusta dello stesso “contesto” sociale.

Poi c’è Di Maio, che sta gestendo egregiamente un equilibrio tanto precario quanto entusiasmante. Con talento e saggezza sta provando a mettere insieme cose che in natura non vogliono stare insieme, cioè le protesta anti-sistema (di cui Grillo è campione nazionale) con la volontà riformista di governare i processi, di cui il movimento sta cercando di farsi interprete tra mille fatiche, come dimostrano i risultati non brillanti dei sindaci di Roma e Torino. Va detto però che Di Maio sta mostrando grande abilità nel destreggiarsi tra questi due sentimenti contrastanti, pur sapendo di rischiare molto già oggi (e figuriamoci domani). Certo, Grillo è tornato ai suoi spettacoli e molti nel movimento non lo amano, (anche a causa di una gestione perentoria delle candidature) però il giovane leader del M5S si sta dimostrando all’altezza del compito, come anche la sua giornata londinese ha palesato fuor di dubbio.

Rischiano molto, sia Calenda che Di Maio. Il primo di essere un po’ “figlio di nessuno” dopo il 4 marzo e il secondo di trovarsi a metà del guado, con un movimento fortissimo nei consensi ma non in grado di governare. A oggi però loro due sono, su sponde opposte, le novità più interessanti di questa campagna elettorale. E non hanno alcuna intenzione di fare le meteore.

Calenda e Di Maio, a oggi i migliori di questa campagna elettorale

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