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Dopo un silenzio lungo dieci mesi, durante i quali il califfato è miseramente caduto sotto l’onda d’urto delle due coalizioni a guida americana e russa che operano in Siria, il portavoce dello Stato Islamico Abu Hassan al-Muhajir torna a diffondere un appello ai suoi combattenti e ai seguaci. Lo fa con un messaggio audio della durata di circa un’ora diffuso sui canali Telegram dell’organizzazione.

Nel testo, Muhajir deride gli avversari, in particolare gli Stati Uniti, che si cullano nell’illusione di una vittoria definitiva contro le bandiere nere. “Di quale vittoria stai parlando America”, dice il portavoce, “quando i mujaheddin sono forti, unificati, e in una migliore condizione di quando hai lasciato l’Iraq sconfitto anni fa”.

Il messaggio vira quindi verso i toni intimidatori, quando parla di una “nuova fase” della guerra che coinvolgerà in particolare Russia e Iran, i Paesi alleati del rais di Damasco Bashar al-Assad. “Fate di questi Paesi il teatro di tutte le vostre operazioni”, dice Muhajir ai suoi fedelissimi, “così che i pagani e i russi assaggino un po’ dell’inferno della loro tirannia”.

Gli strali di Muhajir sono diretti però anche ai leader dei paesi musulmani, rei di collaborare con il nemico della causa islamista. Per il portavoce, “non vi è differenza” tra combattere l’Arabia Saudita, l’Egitto, l’Iran e i palestinesi “e i loro alleati crociati americani, o i russi o gli europei”. Anzi, i musulmani vanno trattati ancora più duramente perché “sono più feroci e violenti contro l’Islam”.

Nel messaggio, Muhajir cita testi della tradizione wahhabita per trovare giustificazioni religiose all’uccisione di musulmani – non solo gli sciiti, come l’Isis aveva abitudine di fare, ma anche sunniti, ossia in teoria i correligionari del califfo Abu Bakr al-Baghdadi. È un chiaro segno di come lo Stato islamico nutra il sogno di seminare di nuovo il terrore nei paesi islamici, già colpiti negli anni passati dagli attacchi proditori delle bandiere nere.

Particolare attenzione viene riservata alle elezioni parlamentari irachene che si terranno il prossimo 12 maggio. Muhajir designa ogni persona che collaborerà al processo elettorale come un obiettivo legittimo. “I seggi e coloro che sono dentro di essi sono obiettivi delle nostre spade”, tuona il portavoce. “Quindi state lontani da essi e non camminate vicino ad essi”.

Nella filippica di Mujahir c’è spazio anche per Donald Trump. Senza chiamare il presidente per nome, il jihadista sostiene che l’America ha perso oramai il peso che aveva nel passato perché costretta a collaborare, almeno nel teatro siriano, con i suoi rivali come la Russia. “Guarda a te stesso, tu uomo malefico, confuso e perso”, dice Muhajir. “Ora sei costretto a elemosinare e a venire incontro ai desideri dei tuoi presunti avversari”.

Il nuovo messaggio del portavoce dello Stato islamico segnala dunque la possibilità di una recrudescenza dei combattimenti in Siria ed Iraq, dove il gruppo è stato sì decimato ma controlla ancora un 3% circa del territorio conquistato negli anni delle grandi offensive. Particolarmente interessante il riferimento a Russia e Iran, potenze dominanti ormai in Siria, che per questo motivo costituiscono i legittimi obiettivi di un gruppo in cerca di riscatto dopo le umilianti sconfitte di questi ultimi mesi. Perfettamente conscio degli sviluppi militari, politici e diplomatici di quest’ultimo periodo, lo Stato islamico elegge ora Iran e Russia a target privilegiato della propria strategia insurrezionale.

Ma non meno significativo è l’appello a colpire i Paesi arabi, che evidenzia come la strategia dello Stato islamico sia rimasta intatta negli anni. Sin dai tempi di Osama bin Laden, quando l’IS era ancora la divisione irachena di al Qa’ida, le priorità della formazione jihadista erano nell’ordine colpire il nemico lontano (America, Europa, Israele) e il nemico vicino (paesi islamici “collaborazionisti”). Per quanta acqua sia passata sotto i ponti del jihad, certe ossessioni rimangono costanti nella mentalità di chi si è prefissato di riportare l’islam all’era dorata dei primi califfi e di conferirgli uno status di grande potenza.

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