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Negli ultimi giorni, Xi Jinping ha riaffermato con vigore il ruolo della Cina come potenza militare globale, prima visitando le forze missilistiche strategiche cinesi (la cosiddetta “Rocket Force”) e successivamente autorizzando la pubblicazione sui media cinesi di una dichiarazione che invita l’intero Esercito di liberazione popolare a “prepararsi alla guerra”. “Dobbiamo rafforzare la deterrenza e le capacità di combattimento”, ha detto Xi durante la visita alle truppe missilistiche, sottolineando che le forze armate devono essere pronte a “adempiere ai compiti affidati dal Partito e dal popolo” – dando per altro conferma di come l’entità Partito/Stato sia stata plasmata secondo le sue volontà, come spiegava la professoressa Li Ling (Universität Wien).

La postura militare dimostrata da Xi non è un invito esplicito alla guerra, ma piuttosto un chiaro segnale della volontà della Cina di dimostrarsi pronta a difendere i propri interessi strategici, anche con le armi, in particolare di fronte a crescenti tensioni globali. Ossia, il leader cinese vuol far sapere che la Repubblica popolare cinese è ormai una potenza totale.

Questo atteggiamento narrativo assertivo si inserisce in un contesto più ampio infatti, con la Cina che sta anche potenziando le sue capacità militari, sia convenzionali che nucleari. Un dato piuttosto chiaro riguarda queste ultime: per il Sipri, l’arsenale nucleare cinese è cresciuto da 410 a 500 testate tra il 2023 e il 2024 (il riferimento è il mese di gennaio), con proiezioni di ulteriore espansione nei prossimi anni. La modernizzazione delle forze nucleari cinesi include lo sviluppo di nuovi missili balistici intercontinentali (Icbm) e sottomarini lanciamissili, oltre all’assegnazione di nuovi compiti alle forze strategiche (ossia nucleari), dimostrando una crescente capacità di deterrenza su più fronti.

Non è probabilmente un caso se questo rafforzamento militare si verifica in un momento in cui la Cina sta affrontando una fase di rallentamento economico. Un recente articolo di Caixin ampiamente pubblicizzato suggerisce che Pechino potrebbe emettere 6 trilioni di yuan (circa 850 miliardi di dollari) in obbligazioni nei prossimi tre anni, dando un’esplosione di fiducia agli investitori. Questo è stato sufficiente per far aumentare un po’ le stime di Goldman Sachs sulla crescita del PIL cinese quest’anno, anche se la banca d’investimento prevede ancora che il paese mancherà il suo obiettivo del previsioni di crescita per il 2024, arrivando al 4,7%, rispetto a una stima precedente del 5%, a causa di una produzione industriale più debole e di una domanda interna ancora insufficiente a spingere la crescita.

Questa situazione economica potrebbe riflettersi sulla proiezione internazionale della Cina (Cnky fa l’esempio dell’Africa), che storicamente ha utilizzato la sua forza economica per influenzare il panorama globale, ma che ora potrebbe trovarsi costretta a bilanciare le sue debolezze economiche raccontandosi come un attore dal maggiore peso militare.

La volontà di Xi di presentare la Cina come una potenza globale capace di esercitare la propria forza non è rivolta solo verso i tradizionali rivali geopolitici (su tutti, chiaramente gli Stati Uniti), ma anche verso i suoi partner nei Brics. La riaffermazione di forza arriva infatti vigilia del vertice che inizia oggi, martedì 22 ottobre, a Kazan. La Cina vuole dimostrare di essere la principale potenza all’interno del blocco, una nazione non solo economicamente rilevante, ma anche capace di difendere i propri interessi attraverso la capacità militare. Questa proiezione è rivolta tanto alla Russia, che la Cina vede come uno junior partner ma sempre più importante dal punto di vista strategico, quanto all’India, che rimane il principale rivale competitivo nella regione indo-pacifica e nella proiezione verso il Global South.

L’equilibrio tra l’espansione militare e le sfide economiche sottolinea come Pechino stia cercando di mantenere la sua immagine di potenza globale a tutto tondo. “Se un tempo la Cina poteva proiettarsi come leader economico e investitore globale, ora sta cercando di rafforzare la sua immagine anche attraverso la forza”, ragiona riservatamente un analista finanziario occidentale che lavora a Shanghai. Questo è particolarmente rilevante per Taiwan, una questione esistenziale per la Cina, dove Pechino ha chiaramente segnalato di essere disposta a utilizzare azioni militari per garantire la sua integrità territoriale – e anche in questo caso non è casuale se le parole di Xi arrivano a valle di una delle più grandi esercitazioni cinesi attorno all’isola autogovernata.

La Cina sceglie di “navigare le contraddizioni del disordine globale” – citando il sottotitolo del nuovo libro di Nathalie Tocci, direttrice dello Iai – combinando la postura militare assertiva a un’economia in rallentamento, suggerendo un cambiamento nella proiezione di potenza di Pechino. Xi Jinping sta inviando un messaggio chiaro al mondo: la Cina è pronta a difendere i propri interessi strategici con ogni mezzo necessario (anche in un momento di difficoltà economica interna: elemento non esplicitato ma parte della questione).

Tale spostamento di equilibrio tra forza militare e capacità economiche rappresenta una nuova fase per la politica estera cinese, dove la deterrenza diventa uno strumento essenziale per mantenere la stabilità e l’influenza globale – finora orientata alla narrativa delle stabilizzazioni armoniose e alle nebulose politiche di win-win.

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