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Nell’Europa del secondo dopo-guerra la vita di Alois Brunner non è stata facile. Fuggitivo, clandestino, dopo un po’ di spostamenti e fughe precipitose, trovato il modo di ottenere un passaporto falso, il braccio destro del più famigerato criminale nazista Adolf Heichmann, è giunto in Egitto e poi in Siria. La scelta fu oculata perché presto ottenne un bel lavoro al palazzo presidenziale quando vi si insediò il militare golpista Hafez al Assad. I suoi servigi, la sua consulenza, la sua competenza hanno certamente dato un contributo essenziale a far spiccare la macchina della morte siriana rispetto alle altre che pur esistevano in altri Paesi regionali. Assad padre ha certamente iscritto a merito di Brunner l’aver costruito una rete di servizi segreti e apparati repressivi spesso in competizione tra di loro. Col fatto che l’arresto non andasse neanche notificato lui non c’entra, quella era certamente farina del sacco siriano. Ma quando aprendo il carcere di Saidanaya si sono scoperte le presse, nelle quali venivano inseriti i detenuti per fracassarli e quindi sceglierli nell’acido per cancellare ogni traccia del loro passaggio sulla terra, mi sono detto certo che quello è un prodotto del lavoro di Brunner. Che, si badi bene, non è durato poco, ma sino alla sua morte all’inizio del nuovo millennio. Lui e il suo datore di lavoro, Hafiz al Assad, sono morti entrambi agli albori del nuovo secolo. Dunque, per tutto il regno di Hafez al Assad lui è stato lì, ad affinare la macchina della morte che il presidente ha costruito e lasciato a suo figlio Bashar, in preziosa eredità.

Le cose si sono cominciate a chiarire nel loro senso più profondo ed estremo dopo lo spalancamento delle porte di alcuni penitenziari e le prime domande che vengono spontanee sono due: ovviamente il mondo sapeva, forse non i dettagli, ma sapeva. Così l’Europa per mezzo secolo ha chiuso, o dovuto chiudere, gli occhi davanti a questa realtà: non si poteva certo dichiarare guerra alla Siria e ai suoi alleati per sospetti, che immagino corroborati dalle intelligence. Ma nel secolo scorso direi che rilasciare onorificenze, in qualche caso apprezzamenti, non è stato bello.

Poi però è esplosa la Primavera e qui c’è stata nuovamente molta prudenza. Poi c’è stato l’uso di armi chimiche, reiterato, e anche qui c’è stata una certa prudenza. Sappiamo che alcune diplomazie europee, dopo la riabilitazione araba del regime, forse anticipando altre già intenzionate a fare altrettanto, erano pronte di nuovo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Assad. Questa intenzione è stata però poco discussa, ma pone interrogativi. Una risposta l’ha data Paolo Dall’Oglio prima del suo sequestro nel 2013: “In occasione degli incontri con gli osservatori dell’Onu mi sono reso conto di un certo scetticismo nella volontà di operare affinché i popoli abbiano diritto alla democrazia. Kofi Annan voleva una soluzione, per lui l’essenziale era fermare i combattimenti non fare la pace nella giustizia. È un rassegnarsi di fronte al gioco politico. Può essere che, nel non detto, ci sia anche una mancanza di fiducia nel soggetto islamico”. Ci ho pensato poco prima di vedere una donna uscire da uno dei citati penitenziari siriani con quattro figli: non sapeva però chi fosse il loro padre, o chi fossero i loro padri! Molti amici mi hanno detto che non è stata certo un’eccezione. Ci sono detenuti che non sanno più come si chiamino, chi siano, altri che hanno tremato alla sola idea di essere liberati. Un servizio giornalistico ha mostrato una telecamera introdursi in uno di questi templi dell’assadismo  e mostrarci una coperta che sembrava mal piegata su un letto. La collega e il suo operatore si sono avvicinati e alzata quella coperta, lì sotto, vi hanno trovato un uomo. In tutto quel trambusto lui era rimasto nascosto lì sotto, terrorizzato.

Cerco dunque un bilanciamento tra il sano realismo e la preoccupazione che non pretende di fare di qualcuno il poliziotto del mondo ma neanche il silente testimone di ogni ferocia. Mi ci ha portato anche la preoccupazione di alcuni per un futuro in cui si potrebbe forse  imporre il velo islamico, essendo al potere islamisti, magari anche alle donne cristiane. Questo lo ha espresso molto meglio di altri il vescovo latino di Aleppo, dicendo che negli ultimi anni questi insorti governando Idlib non lo hanno fatto: questo ha fatto risuonare che non abbiamo sentito una parola dai patriarchi cristiani, una loro ammissione di aver così a lungo taciuto su un regime disumano, anche sui suoi acclarati crimini. Necessario preoccuparsi dei rischi ma anche o soprattutto riflettendo su quanto disse al riguardo di queste preoccupazioni sempre padre Paolo Dall’Oglio: Io non ho l’impressione che al di là di un certo pigolìo vittimista ci sia una vera preoccupazione per i cristiani orientali”.

Infatti la preoccupazione confessionale  legittima, lì e qui, dovrebbe saper incontrarsi con l’ammissione e il riconoscimento anche solenne, senza ambiguità, di cosa c’è stato per uscirne insieme, dal momento che tutti i siriani sono siriani. Come non farlo? Come non dire che quanto accade è un segno di liberazione dal male? Nel libro dell’Ecclesiaste si legge: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”. Ecco, prevenire abusi è molto meglio che lamentarsene dopo, non c’è dubbio, ma prima è il caso che si rifletta insieme sul passato anche per capire cosa è realmente successo e quali traumi collettivi ciò abbia creato: è importante per non chiudere in silenzio pagine che sono durate mezzo secolo, che hanno schiacciato milioni di persone, non so quante volte fracassato e poi sciolto nell’acido. Anche i regimi che si presentano come “laici” fanno cose orribili: va detto, va riconosciuto, anche perché è dovuto e inoltre rende  credibili  davanti a chi governa oggi, sulla cui affidabilità è certamente necessario un sano scetticismo.

Come andare oltre l’orrore raggelante degli Assad. La riflessione di Cristiano

Nel libro dell’Ecclesiaste si legge: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo”. Ecco, prevenire abusi è molto meglio che lamentarsene dopo, non c’è dubbio, ma prima è il caso che si rifletta insieme sul passato anche per capire cosa è realmente successo e quali traumi collettivi ciò abbia creato. La riflessione di Riccardo Cristiano

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