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Già nel 2017 i G7 discutevano di come rendere l’innovazione la principale fonte di benessere e prosperità per l’umanità intera, con importanti implicazioni anche per il leapfrogging delle economie emergenti. Sette anni dopo, un mondo radicalmente diverso si interroga sul progredire dell’intelligenza artificiale (IA) e sul fatto che essa possa condurre non già a un mero cambio di paradigma nella produzione e nella società, ma addirittura a una singolarità. È realisticamente possibile, e come, affrontare questo scenario ispirandosi a un approccio bilanciato tra opportunità e rischi?

Probabilmente non comprendiamo fino in fondo dove l’intelligenza artificiale possa spingersi: favorirne incondizionatamente l’ascesa a general purpose technology può evocare scenari inquietanti; limitarne lo sviluppo potrebbe privarci di prospettive straordinarie, i cui dividendi vanno ben oltre i guadagni di produttività. Se il machine learning su grandi moli di dati ha già permesso di accelerare il passo di diverse scoperte scientifiche, è grazie (anche) all’intelligenza artificiale se i ricercatori del Mit hanno scoperto nel 2019 un nuovo antibiotico, se DeepMind ha annunciato di aver trovato due milioni di nuovi cristalli o l’Epfl e altri attori hanno moltiplicato i progressi nello studio della fusione nucleare.

Nei prossimi anni, l’affinamento delle capacità dei modelli linguistici di grandi dimensioni (Llm) di analizzare e creare connessioni tra le scoperte degli scienziati, offrendo loro un ambiente collaborativo più efficace, potrebbe farci ottenere molto più velocemente le risposte a numerose sfide che l’umanità si pone: ottenere energia pulita e illimitata, perseguire un’esistenza più lunga e in salute, sviluppare tecnologie per invertire gli effetti del cambiamento climatico, fare dello spazio una frontiera di produzione ed esplorazione.

Tutto ciò necessita non solo di ingenti investimenti in ricerca e sviluppo, di una efficiente catena di trasmissione dei risultati e della garanzia di accesso ai fattori abilitanti, competenze, infrastrutture, materiali rari, microprocessori di nuova generazione, energia in grande quantità. Impone anche un larghissimo consenso, ab initio, su un chiaro obiettivo strategico: indirizzare ogni sforzo perché quanto generato sia veramente di beneficio per ogni abitante del pianeta. Regole condivise e rispettate a livello internazionale e un approccio collaborativo tra pubblico e privato sono indispensabili non solo a tal fine, ma anche per mitigare i rischi che un incontrollato utilizzo dell’intelligenza artificiale potrebbe generare: sicurezza, disinformazione, crescita delle diseguaglianze, fino a una distopica jobless society.

Allineare gli interessi tra i diversi stakeholder è centrale perché l’intelligenza artificiale diventi “human-centric” by-design, tanto quanto è dirimente lavorare per costruire un’ampia convergenza tra Paesi, like-minded e non, attorno a questa prospettiva: una sfida titanica, ma anche una grande opportunità per l’Italia.

Il nostro Paese è forse non solo il più adatto a spingere l’industria ad adottare regole ispirate al suo millenario bagaglio umanistico ma anche a porsi come ponte tra i luoghi più avanzati del pianeta e le nuove geografie emergenti. In questa prospettiva, giocherà un ruolo essenziale tanto il fertile sostrato di creatività e talenti che potremo mettere a disposizione, quanto la nostra capacità di promuovere e coordinare investimenti su larga scala: non solo tra gli ecosistemi più avanzati ma anche insieme a quelli, in crescita, che vorranno condividere con noi la visione di un futuro ancora pieno di speranza.

Formiche 200

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Il nostro Paese non è solo il più adatto a spingere l’industria ad adottare regole ispirate al suo millenario bagaglio umanistico, ma lo è anche a porsi come ponte tra i luoghi più avanzati del pianeta e le nuove geografie emergenti. In questa prospettiva, giocherà un ruolo essenziale tanto il fertile sostrato di creatività e talenti che potremo mettere a disposizione, quanto la nostra capacità di promuovere e coordinare investimenti su larga scala. Il commento di Andrea Gumina, economista e presidente della Transatlantic-Harmonic Foundation

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