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Lo chiamano petroyuan, una specie di nemesi della valuta cinese, il cui utilizzo è legato alle risorse energetiche. Ed è quel jolly con cui la Cina punta a realizzare i suoi sogni di de-dollarizzazione, forte del fatto di essere il più grande importatore del mondo di oro nero. Nei giorni scorsi, Formiche.net ha raccontato come uno dei temi caldi sul tavolo del summit dei Brics che proprio oggi inizia a Kazan, sulle rive del Volga, sia il tentativo di Russia e Cina di dare una nuova spallata al dollaro, nella speranza, finora vana, di detronizzarlo. E l’asso nella manica del Dragone è il petroyuan.

Attenzione, una promessa è d’obbligo. La crociata cinese contro il biglietto verde non significa che i petroyuan si sostituiranno ai petrodollari, la valuta di riferimento sul mercato e agganciata al prezzo del greggio, né tantomeno che lo yuan sia destinato a spodestare il dollaro. Senza dubbio, però, è il segno di una crescente frammentazione del sistema monetario internazionale. Tutto ciò chiarito, sono molti gli economisti che vedono nel vertice di Kazan un ulteriore salto di qualità verso la de-dollarizzazione.

Un report dell’Omfif, l’Organismo internazionale delle banche centrali, mette in chiaro, per esempio come “il summit in Russia, è destinato a essere rivoluzionario per due motivi. Innanzitutto, ci sono stati grandi cambiamenti dall’ultimo vertice, nel 2023, a Johannesburg. I Brics, che comprendono Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, sono stati ampliati con cinque nuovi importanti membri: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto ed Etiopia. L’Arabia Saudita, il principale fornitore mondiale di petrolio, ha anche aderito al Progetto mBridge , l’accordo di valuta digitale della Banca dei regolamenti internazionali”.

“In secondo luogo, c’è la Russia, un Paese in guerra con l’Ucraina e impegnato in un conflitto economico contro l’intera alleanza occidentale. Utilizzerà il vertice di Kazan come mezzo per spingere i membri dei Brics a unirsi a questa iniziativa. Mosca, d’altronde, sta pianificando una nuova denominazione per il petrolio, il petroyuan, il suo sistema mBridge per pagare il petrolio e persino una valuta comune dei Brics per ridurre la dipendenza dal dollaro”, si legge ancora. Domanda: quali le reali chances del petroyuan?

“Una valuta a tutti gli effetti deve soddisfare tre funzioni: denominazione, mezzo di pagamento e deposito di valore. La denominazione può essere fatta in un batter d’occhio, basta mettere un’etichetta con il prezzo in renminbi su ogni barile di petrolio. Ottenere un mezzo di pagamento, tuttavia, è più complicato. Per questo la sfida principale per il petroyuan sarà quella di mettere a disposizione dei principali Paesi importatori di petrolio, come l’India, una quantità sufficiente di renminbi. Poiché non hanno surplus delle partite correnti con la Cina, questi Paesi non guadagnano abbastanza renminbi per pagare le loro importazioni di petrolio e dunque, devono ricevere yuan tramite altri canali”.

E ancora, “la terza funzione del denaro è l’immagazzinamento di valore. I Paesi esportatori di petrolio guadagneranno enormi quantità di renminbi. Deve essere progettato un meccanismo per riciclare queste eccedenze nei paesi bisognosi. Nel sistema basato sul dollaro, questo era gestito in modo efficiente dalle banche globali, ma nel caso del petroyuan, questo processo sarà molto più difficile poiché il surplus di renminbi deve essere speso per il commercio con la Cina o aggiunto alle riserve di valuta estera, ora considerate accettabili dal Fondo monetario internazionale poiché il renminbi è nel paniere dei diritti speciali di prelievo”. Conclusione: l’introduzione di un petroyuan, più che disarcionare il dollaro, “non farà che aumentare la frammentazione del sistema finanziario globale”.

Un jolly chiamato petroyuan per i Brics. Ma anche stavolta non funzionerà

A Kazan, sulle rive del Volga, i Paesi del blocco antagonista al G7 sono pronti ad aumentare la circolazione della moneta cinese agganciata al prezzo del petrolio. Ma secondo le banche centrali si rischia solo di creare confusione nel sistema monetario, più che dare una spalla al dollaro

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