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Non è solo per i vari Decathlon, Auchan o Carrefour. Giganti made in France che in una decine di anni hanno letteralmente riscritto le regole della grande distribuzione in Italia e che oggi rappresentano nel Bel Paese, ma anche nel resto del mondo, il fronte compatto anti-Amazon. La Francia in Italia è qualcosa di più. È buona pratica ricordarlo, nei giorni dell’alta tensione tra Roma e Parigi sulla questione della gestione dei flussi migratori. Mancava tanto così all’incidente diplomatico.

A oltre due secoli dalla campagna di Napoleone in Italia (1796), oggi Francia vuol dire in Italia, manager a capo delle principali aziende del Paese, quasi tutte quotate, ma anche presenza robusta in molti settori chiave dell’economia reale, quella di tutti i giorni. In altre parole, c’è un pezzo di pil (e di tasse) italiano che riporta direttamente sulle rive della Senna.

Due numeri prima di tutto. In quasi dieci anni, tra il 2008 e il 2017 per la precisione, Parigi ha rilevato oltre duecento imprese investendo su per giù 32 miliardi di euro. C’è di tutto, dalle banche, all’energia, passando per il rivenditori al dettaglio, lo sport, la moda, le assicurazioni e l’alimentare. I dati di Kpmg raccontano che il settore di maggior appeal per la Francia e le sue imprese è il cosiddetto consumer markets, ossia beni e servizi destinati a consumatori finali, che da solo ha raccolto il 34% delle operazioni per un valore di 14,7 miliardi di euro.

Partendo proprio dalla grande distribuzione, si prenda il caso di Auchan, la catena globale di rivenditori al dettaglio, una specie di Wal Mart alla francese. Presente in Italia con 99 punti vendita sparsi su 12 regione, ad oggi Auchan, fondata nel 1961 e con sede a Croix, è diventato il fulcro della grande distribuzione italiana grazie a un fatturato globale annuo di 42 miliardi di euro. Stessa storia per Decathlon, la catena di articoli per lo sport, nata nel 1976 e presente in Italia da una quindicina di anni abbondanti. Infine Carrefour, i cui super e mini market popolano le città italiane.

Passando a tutt’altra sponda, la finanza, si apre una vera e propria prateria. Partendo dalle banche, dove la Banca nazionale del Lavoro è da diverso tempo in mani francesi, in quelle del colosso del credito Bnp Paribas. Non finisce qui. Credit Agricòle, la nostra ominima (ex) banca nazionale dell’agricoltura, ha messo sotto il suo controllo alcune delle maggiori casse di risparmio del Paese, come Cariparma ma anche le minori casse di San Miniato, Cesena e Rimini. Senza considerare il sostegno offerto in passato a Intesa, nell’ambito della fusione con Sanpaolo.

E che dire delle telecomunicazioni? Qui il caso emblematico è Telecom, ora Tim. Nel 2014 il finanziere bretone Vincent Bollorè scalò con la sua parigina Vivendi il gruppo telefonico, fino a diventarne azionista di riferimento con una quota del 24%, nonostante l’attuale minoranza in cda dopo l’ingresso i forza di Elliott. Solo pochi giorni fa invece, ha fatto ufficialmente ingresso nel mercato telefonico Iliad, compagnia low cost destinata a sparigliare il mercato italiano.

Ancora, altre mani in pasta francesi. L’energia. Qui il grosso è Edison, nella mani del gigante di Stato transalpino Edf e Acea, nel cui capitale figura come socio di peso Engie, l’ex Gaz de France, con una quota del 23%. Anche la moda parla francese. Lvmh (Louis Vuitton), ha in pancia le lane di Loro Piana e i gioielli di Bulgari.

Dalla moda all’alimentare il passo è breve. Parmalat, l’azienda di Collecchio un tempo regno incontrastato di Calisto Tanzi, dopo il crac del 2004 è passata nelle mani dei francesi di Lactalis, che nel tempo ne hanno rilanciato attività e marchio.

Un occhio di riguardo poi, lo meritano i manager a capo dei grandi gruppi italiani, molti provenienti dal Paese guidato da Emmanuel Macron (nella foto). Tornando alle banche, Unicredit, affidata dal 2016 alle cure del manager francese Jean-Pierre Mustier mentre la prima società assicurativa italiana e tra le maggiori in Europa, Generali, è da un paio di anni sotto la guida di Philippe Donnet, transalpino di Suresnes classe 1960. Vive la France.

Tra manager e aziende ecco come Parigi muove un pezzo di economia italiana

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