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Si può parlare di scampato pericolo? Credo proprio di sì. Non so cosa sarebbe successo se Trump fosse stato ucciso. E senza evocare scenari apocalittici, pur presumibili e immaginabili, mi attengo al quello minimale, logico. I Repubblicani avrebbero dovuto scegliere un altro candidato. Ma tutti i nomi che oggi esistono e che conosciamo – a partire da quello del noto Ron De Santis– sono più estremisti, più invasati di Donald.

Dunque è giusto, comunque la si veda, parlare di scampato pericolo. Ma fino a un certo punto. Perché “il moderato Trump” (rispetto ai suoi contendenti esistenti, non rispetto a ciò che moderazione significa) la prima cosa che ha fatto è stata quella di indicare chi lo avesse salvato: Dio. E’ stata la mano di Dio, ha detto, a salvarmi. Non il caso, non la fortuna. Dio. Può sembrare un’eccezione fondata sulla famosa “lana caprina”: in un contesto del genere, con un buco della sicurezza che ha dell’incredibile anche per un Paese come quello dove si sono uccisi due Kennedy, Martin Luther King, Malcom X, con una disinvoltura e naturalezza che ha dell’incredibile, cosa vuoi che significhi richiamarsi all’intervento di Dio! E invece per me vuol dire tanto.

Siamo al cospetto di un evidente sequestro: il sequestro di Dio da parte della politica. In società come le nostre (dalla Russia, all’Occidente, a tante altre) dove si uccide, si ruba, si calpesta la dignità del prossimo come fosse l’erba di un pubblico parco, la politica ha sequestrato Dio per le proprie finalità. Chi ne dubita legga quel che ha detto il patriarca di Mosca in questi giorni: Dio opera in Putin. Ma non è solo il caso russo. Dio ritorna, prepotente, solo per quello che interessa alla politica, ovunque. Nel caso di Trump, ad esempio, questo ritorno non riguarda più la sua ferma fede antiabortista, perché ha capito che questo rigorismo gli farebbe perdere tantissimi voti. Ma ci sono altri terreni, ad esempio il rifiuto degli altri, delle altre culture, delle altre fedi, a offrire la possibilità di un uso improprio di Dio da parte della politica.

E’ la teopolitica che stravince, cioè quella sottile perversione che definisce la politica un terreno, un campo, che interessa a Dio, nel quale Dio deve essere presente: è la teopolitica  che Trump evoca, dicendo che Dio è intervenuto personalmente per salvarlo.

Tutto questo non richiama soltanto la sua idea che Dio abbia una predilezione per lui, richiama il fatto che Dio abbia una predilezione per l’America, come gli americani ritengono da sempre. Non è un caso che un Paese che si dice laico, ostenti sulla sua banconota, il dollaro, la curiosa dizione “In God We Trust”. Noi chi? Un americano non può essere legittimamente non credente?

L’idea americana di avere una missione divina, di difendere le ragioni di Dio nel mondo, che è anche l’idea di leader come Biden, ha accompagnato gli Stati Uniti da un secolo in tante follie.  Per fortuna c’è stato e c’è anche il rovescio della medaglia, cioè l’idea di aver un esempio da offrire a chi li guarda che ne ha fatto un grande Paese, con i registi, gli scrittori, le attrici, gli attori, i paladini dei diritti umani, gli immigrati di enorme successo, il melting pot, l’integrazione, imprenditori geniali, cantanti che hanno fatto piangere e vibrare di gioia tutto il mondo.

Ma la crisi della fede autentica, delle religioni che credono in se stesse e quindi anche nelle altre, poiché tutti siamo figli di Dio e se tali siamo tutti per strade diverse siamo in marcia verso la stessa meta, sta rinchiudendo la fede, la religione, negli oscuri e tenebrosi recinti della teopolitica. Un suo assunto, ovviamente, è che il male è funzionale al bene. Per fare il bene  è legittimo fare il male, che problema c’è? Il punto è lo scopo, l’obiettivo. E’ quello che teorizzò Bush figlio, il presidente che parlava con Dio, che al telefono con un esterrefatto Chirac evocò l’Apocalisse, citando le figure apodittiche di Gog e Magog. Esterrefatto, Chirac, dovette chiedere ai suoi collaboratori di chiamare qualche esperto per spiegargli di chi si trattasse, cosa gli avesse detto il Potus, cioè il President of the United States.

Io non credo che Trump sia già eletto, sia già alla Casa Bianca. Non lo credo per il semplice motivo che in un’America polarizzata come quella di oggi i democratici voteranno democratico, i repubblicani voteranno repubblicano. Piuttosto credo che la partita si sia riaperta, e sarà difficile spiegare in giro che il problema siano le gaffes di Biden. Il problema, a mio avviso, è il rapporto malato dell’America con Dio. L’idea di molti di essere benedetti, operatori in nome di Dio, anche senza seguirlo in nessuna parentesi della propria vita.

Così ci si può chiedere cosa accadrà dopo il voto di novembre, ad esempio se Trump vincerà, o perderà. Si potrebbe pensare che ha vinto o perso Dio, un Dio però assente dalla vita delle persone che pensano che lui abbia vinto o perso.

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