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Il preambolo all’art. 27 (“l’istruzione deve tornare al centro del nostro sistema Paese”) rappresenta la forma più classica di captatio benevolentiae: quanto più l’argomento è spinoso, tanto meno va preso di punta, affinché chiunque possa riconoscersi – senza se e senza ma – nella problematica, senza picchi di pressione. Una buona tecnica per convogliare il consenso e smorzare i contenziosi è quella di iniziare il discorso da ciò che tutti pensano (molti insegnanti in Italia non funzionano, semplicemente perché la scuola è stata usata come un ammortizzatore sociale…) con una frase pacifica da anziani coniugi davanti al caminetto: “La buona qualità dell’insegnamento, fin dai primi anni, rappresenta una condizione indispensabile per la corretta formazione dei nostri ragazzi”. Purtroppo non sempre chi legge è a digiuno di letture sulle problematiche scolastiche: il discorso della valutazione dei docenti – e dei presidi – è ancora un tabù che gli stessi partiti dei leader firmatari hanno faticato a sostenere con chiarezza.

Tant’è vero che il discorso subito svicola dal valore degli insegnanti ad un insieme di problematiche accatastate (classi pollaio, edilizia scolastica, graduatorie e titoli), per giungere alla protesta delle “maestre diplomate” (da notare il femminile… i maschi non insegnano alla primaria? E il maestro Manzi in che genere lo mettiamo?). Il tono accattivante prosegue con l’accenno a due note dolenti (precarizzazione e frustrazione) che in realtà possono ricondursi alla quadratura del cerchio di masse di pseudo docenti (mai valutati) che per anni hanno vagolato da una parte all’altra dell’Italia, esigendo il posto fisso, per poi abbandonarlo al secondo giorno di scuola e tornare – con il posto fisso in tasca – a mille chilometri di distanza, da dove sono arrivati. Con la doppia spesa da parte dello Stato per coprire il loro posto. Chi ha visto questo meccanismo ripetersi per migliaia di volte fatica ad essere coinvolto nel turbine della pietà e dell’emozione che il contratto intende delicatamente suscitare. Nel finale, l’affondo dell’auspicio stile countryside (tener conto del legame dei docenti con il loro territorio), che nulla dice dell’esubero cronico di docenti in una regione e dell’abissale carenza in un’altra… Forse al nuovo governo converrà intraprendere una campagna di incremento della natalità in una parte d’Italia e di decremento in un’altra.

D’altra parte, i problemi della Scuola italiana sono talmente gravi che, al di là della “chiamata diretta” dei docenti da parte del dirigente scolastico in odore di mafia e camorra, ledono il diritto dei deboli: gli alunni e, tra di loro, i disabili. Giustamente l’azione Lega-5 Stelle non potrebbe tollerare il caso odierno di una ragazzina disabile, abitante in una bella città del Tacco, che da anni vede utilizzata la propria insegnante di sostegno come supplente ufficiale di tutte le assenze dei colleghi… E se la mamma parlasse con l’ufficio scolastico, sarebbe per la ragazzina la (seconda) morte civile. La povera donna lamenta di non avere i mezzi per iscrivere la figlia ad una buona scuola pubblica paritaria della città… Deve pertanto essere riconosciuta come perla preziosa l’affermazione, integrata secondo il diritto: “A tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel sistema scolastico integrato composto da scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini”. La garanzia che il contratto intende assicurare (studenti al passo con l’oggi attraverso docenti formati anche per gestire situazioni di grave disagio e alunni in difficoltà di ogni genere) è semplicemente irrealizzabile senza l’introduzione del costo standard di sostenibilità che – solo – consentirebbe la quantificazione dei costi della scuola, oggi del tutto fuori controllo, come ben sanno gli eroici ragionieri del Miur. Il resto sono chiacchiere.

Senza alcuna ombra di dubbio il costo standard di sostenibilità per allievo garantirebbe tutti i diritti sanciti dall’art. 3: il diritto degli studenti di apprendere senza alcuna discriminazione economica; la responsabilità educativa della famiglia, che può essere esercitata solo in un’effettiva libertà di scelta formativa; la libertà d’insegnamento dei docenti, a parità di titolo, in una scuola pubblica statale e in una pubblica paritaria. La proposta prevede un sistema a doppio binario, statale e privato accreditato, pareggiati per l’offerta curricolare obbligatoria, sostenuto dal costo standard (con la definizione, da parte del ministero, dei livelli essenziali di educazione e formazione come si è fatto in ambito sanitario con i Lea, i Livelli essenziali di assistenza) e, in aggiunta, da una franchigia reddituale per legittimare donazioni e corrispettivi ulteriori, così da incentivare innovazione, investimenti ed eccellenze.

La pista dell’economia – se non si vuole percorrere quella del diritto – è forse la più convincente. Friedman (nessun dubbio sulla laicità delle sue posizioni) docet.

scuola

Perché non mi convincono le proposte sulla scuola targate Lega-5 Stelle

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