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Le banche italiane hanno recuperato il 34% del valore delle sofferenze nel 2016. È questo il dato incluso in una nuova nota di stabilità della Banca d’Italia che dovrebbe essere pubblicata oggi. Il valore si conferma sui livelli del 2014 e del 2015 resi noti a gennaio. Negli anni precedenti (tra il 2006 e il 2013) le medie erano superiori, comprese tra il 44 e il 49%. Rispetto ad allora, tuttavia, le percentuali sono calate perché è aumentato il peso dei recuperi tramite cessione (da cui si è ottenuto in media il 23% nel periodo 2006-2015) rispetto a quelli per via interna (47%). La gestione ordinaria richiede più tempo ma consente incassi maggiori, mentre con le vendite il beneficio è immediato ma costoso per gli azionisti delle banche. «Nel valutare i prezzi di cessione sul mercato va considerato che essi riflettono i tassi di rendimento molto alti richiesti da acquirenti oligopolistici, che scontano anche la percezione di lunghi tempi di recupero», ha osservato il governatore Ignazio Visco a gennaio al Forex, citando la prima nota di stabilità sul recupero delle sofferenze. I dati più recenti non sovrastimerebbero i recuperi futuri perché oggi le banche hanno sofferenze meno datate. Negli ultimi anni si è inoltre registrato un aumento delle posizioni chiuse dagli istituti di credito.

I numeri sul recupero delle sofferenze sono uno strumento utile per valutare in modo più completo i bilanci delle banche. Dalle evidenze empiriche emerge innanzitutto che le sofferenze non hanno valore pari a zero, a maggior ragione quando sono garantite: in questi casi il recupero medio è arrivato al 55% nel decennio 2006-2015. Un elemento che non sembra sia stato sufficientemente considerato dalla Vigilanza Bce, che a ottobre ha proposto accantonamenti prudenziali per il 100% dei prestiti deteriorati, anche se garantiti. La Commissione Ue, in una consultazione separata sullo stesso tema, ha invece presentato proposte che considerano maggiormente le garanzie (per i dettagli si veda Milano Finanza dell’11 novembre).

La nota di gennaio di Bankitalia aveva inoltre sottolineato che «i tassi di recupero del sistema bancario italiano si posizionano, in media, su valori coerenti con i tassi di copertura risultanti dai bilanci». Il valore contabile è allineato con quello degli incassi attesi: perciò il tema dei crediti deteriorati non rappresenterebbe un problema dal punto di vista delle valutazioni delle banche.

Ci sono però due considerazioni da fare. Innanzitutto alcune banche hanno tassi di recupero peggiori della media: sempre al Forex Visco aveva evidenziato «l’elevata dispersione delle percentuali di recupero tra le banche; per molte i margini di miglioramento sono ampi e vanno rapidamente sfruttati». Per esempio questo potrebbe avvenire con una migliore gestione delle informative sulle garanzie da parte degli istituti. In secondo luogo alcune banche particolarmente gravate di sofferenze non hanno il tempo necessario per ottimizzare il recupero, a causa delle pressioni dei vigilanti e/o dei mercati: di conseguenza sono obbligate a cedere crediti sul mercato, con minusvalenze rispetto ai valori di bilancio. C’è un filo sottile che separa la giusta richiesta di smaltire i non-performing loan da azioni che tolgono valore a azionisti (e clienti) delle banche, a vantaggio dei fondi speculativi. Spetta ai supervisori trovare il giusto equilibrio. Il rigore eccessivo potrebbe persino incidere negativamente sulla stabilità finanziaria, al pari dell’eccessivo lassismo.

Allo stesso tempo, riguardo ai crediti deteriorati, un ruolo importante dovrà essere svolto dalle banche e anche dai governi, in particolare quello italiano, per ridurre ulteriormente i tempi di recupero delle sofferenze (aumentandone così il valore di mercato). Non a caso nei giorni scorsi il presidente Bce Mario Draghi, nel ricordare la necessità di risolvere il problema dei crediti deteriorati, ha chiesto «uno sforzo congiunto da parte di banche, supervisori, regolatori e autorità nazionali» per affrontare la questione «in maniera ordinata, prima di tutto creando un ambiente in cui i non-performing loans possano essere efficacemente gestiti e ceduti in maniera efficiente».

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza)

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