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Pur con una lentezza esasperante, qualcosa inizia a muoversi nel pantano politico in cui s’è infilata l’Italia con il voto del 4 marzo. Si tratta di una specie di “rivolta” contro la logica della proporzionale, figlia di due decenni e più di schema maggioritario. Già, perché il voto di marzo si è svolto con regole da Prima Repubblica, mentre tutti i giocatori attuali sono cresciuti nella Seconda, che è la Repubblica del “di qua o di là”, come si vede plasticamente nei comuni e nelle regioni. Uno schema, quello bipolare, che ben si adatta anche al ruolo del M5S, che infatti ne ha tratto vantaggio in molti casi di elezioni locali, comprese quelle della capitale d’Italia.

Insomma ciò che stiamo vedendo è il rifiuto palese delle due opzioni più direttamente collegate ad un logica proporzionale, cioè il “governissimo” e l’accordo tra centro-destra e M5S, mentre invece si inizia a vedere uno spazio per due altre opzioni sin qui poco gettonate, entrambe però figlie di un’idea marcatamente bipolare della politica. Di cosa parliamo dunque? Parliamo dell’evidente difficoltà di Salvini e Di Maio (i due vincitori politici delle elezioni di marzo) di costruire un governo insieme, per il semplice fatto che lo schema bipolare (che li ha cresciuti politicamente) non prevede questo esito: uno solo vince (magari con alleati) e gli altri perdono.

Questa è l’essenza della Seconda Repubblica all’italiana, figlia di un’alternanza perfetta tra destra e sinistra in tutte le elezioni celebrate dal 1994 in poi, con tre vittorie di Berlusconi (più alleati vari) e tre vittorie delle sinistre coalizzate contro Berlusconi (così è andata anche nel 2013, pur con la variante dell’arrivo in Parlamento di una nutrita rappresentanza grillina). Ecco perché non si è trovata una via d’uscita nelle trattative sin qui svolte: si sta giocando su un campo di gara non più valido, come se fosse una partita di calcio con le regole degli anni ‘30 (e senza il VAR).

Tutto questo al Quirinale l’hanno capito da tempo e nelle prossime ore ne vedremo la consacrazione ufficiale: sarà avviato un tentativo d’incarico “esplorativo” che a nulla porterà, in modo da rendere evidente che siamo in un vicolo cieco. Intanto però, sotto la cenere, cova il fuoco bipolare, che proverà ad emergere subito dopo il voto delle regionali molisane e friulane. Un fuoco bipolare che può attecchire solo in due direzioni, non a caso radicalmente alternative tra loro.

La prima è un governo di centro-destra guidato da Matteo Salvini, capace di raccogliere i voti mancanti in Parlamento attraverso un gruppo di “responsabili” di nuova formazione, prevalentemente eletti al Sud nelle file del M5S. La seconda è un accordo (più o meno di lunga durata) tra M5S e PD, per un governo “di programma” guidato da una figura da individuare (potrebbe essere Di Maio ma potrebbe anche essere un altro, ad esempio il Presidente della Camera Roberto Fico). Non a caso oggi su Il Foglio Guglielmo Picchi, consigliere di Salvini per la politica estera, rimarca la sostanziale inconciliabilità con i grillini in tema di collocazione internazionale. E non a caso proprio oggi il segretario reggente del Pd Maurizio Martina pone tre condizioni “programmatiche” sui cui discutere per fare il governo, scegliendo temi (povertà, famiglia e lavoro) che sono adatti ad una intesa “di sinistra” con il M5S.

Insomma qualcosa si muove, pur nella delicatezza della situazione. Mattarella ne ha precisa cognizione, poiché gli sta riuscendo di essere sempre uno o due giorni avanti al dibattito pubblico. Per questo alterna bastone e carota, perché vede che la situazione non è matura, ma nemmeno disperata.

mattarella

I due assi nella manica di Mattarella: un governo si può fare (dopo le regionali?)

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