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L’Italia ha scelto di affrontare la questione meridionale usando una tecnica decisamente originale (quando si tratta di gestire una gigantesca, drammatica emergenza nazionale): ignorare il problema. La drammatica fase di abbandono che va dal 1990 al 2015 ha reso quello del sud il più grande squilibrio territoriale presente in tutta Europa. Il nostro Paese è stato enormemente penalizzato dal viaggiare a due velocità.

Ma oggi ci sono, per la prima volta da decenni, le condizioni per far rinascere il sud. A cominciare da una ritrovata coscienza del problema. Per questo ho elaborato, senza pretese di scientificità, ma con l’esperienza di chi ha lavorato con investitori e istituzioni, una proposta per contrastare l’immobilismo e la rassegnazione collettiva. Si tratta di un piano in otto punti, che in pochi anni consentirebbe un vero rilancio, rendendo il meridione un territorio attrattivo per gli investimenti. Sono azioni che ritengo sostenibili sia finanziariamente sia politicamente e che, se rese operative per un tempo congruo, potrebbero assicurare un cambio di passo decisivo.

Nelle otto azioni per il rilancio del sud, occorre valorizzare, implementare e rendere stabili alcune misure già esistenti, come la Riserva di investimento e infrastrutture, che prevede una quota fissa di almeno il 34% di tutti gli investimenti infrastrutturali da allocare al Mezzogiorno per dieci anni, essendo la dotazione quantitativa e qualitativa di infrastrutture, uno dei campi in cui il ritardo del sud è più evidente. A queste infrastrutture fisiche si deve associare un importante sforzo su quelle digitali. A ciò andrebbe aggiunta un’altra misura già prevista, ossia una de-contribuzione totale delle nuove assunzioni per cinque anni. Tale misura meriterebbe di essere resa strutturale. Anche il Super ammortamento del 140% per investimenti innovativi in tecnologie manifatturiere è un incentivo già attivo al sud e andrebbe prolungato per almeno cinque anni senza limiti quantitativi sugli investimenti.

Un altro strumento molto valido e interessante, che ha visto negli ultimi anni importanti successi (specialmente in Puglia e in Campania) è il contratto di sviluppo, erogato da Invitalia che, dopo anni di rodaggio, è oggi a regime. Tale mix di fattori, andrebbe associato a un rapido avvio delle Zone economiche speciali (Zes), che aiuterebbero il sud a popolarsi (o ripopolarsi) di aziende.

Le otto Zes, previste a fine 2017, rappresentano una possibile risposta al drammatico deficit di capacità di esportazione del sud e alla incapacità di un’asfissiante burocrazia. Contestualmente dovrebbe essere potenziato il Piano straordinario di promozione di export e internazionalizzazione, volto a consentire la penetrazione nei mercati esteri promuovendo al contempo il Mezzogiorno come luogo dove investire e come destinazione turistica.

Le precedenti misure devono essere alimentate da investimenti in istruzione, ricerca e innovazione non più rinviabili da declinare di un vero e proprio Piano straordinario scuola e università. Il nuovo sud che dobbiamo e vogliamo costruire è anche un territorio che attira talenti, che li trattiene e che li aiuta a crescere. Alcune delle recenti esperienze innovative e tecnologiche, come il centro Apple iOS di Napoli o la Cisco Academy (che rappresenta l’unico luogo al mondo dove due aziende del calibro di Apple e Cisco lavorano sotto lo stesso tetto) o come l’Etna Valley in Sicilia o il Polo informatico di Cosenza, vivono perché hanno a fianco delle straordinarie e dinamiche università.

Infine, c’è da agire sul comparto agroalimentare: è necessario prevedere un Piano di sviluppo delle filiere agricole, come volàno di sviluppo economico e di occupazione. Il tutto andrebbe completato da una azione su quella che è la vera bomba a orologeria che rischia di compromettere il futuro del Mezzogiorno: la demografia. Bisogna definire azioni mirate per aumentare la natalità, trattenere i giovani, ripopolare zone che si stanno spopolando e invecchiando. Accanto a uno sforzo di Welfare (per garantire la disponibilità di asili nido, mense scolastiche, assistenza all’infanzia), bisognerebbe sviluppare degli incentivi puntuali per la demografia come, ad esempio, un bonus una tantum all’insediamento per le giovani coppie al sud Italia o un bonus bebè rinforzato per il sud.

Si tratta di investimenti di poche decine di milioni di euro che, se associati a tutti gli altri aspetti della ricetta, potrebbero generare uno sviluppo duraturo e fermare la crisi demografica. Il mio contributo, volutamente essenziale, cerca di interpretare in chiave costruttiva le sfide che la globalizzazione pone al nostro sud. E che il sud può raccogliere e vincere. Le politiche per invertire la rotta esistono, sono sostenibili e vanno perseguite immediatamente. È arrivato il momento, dopo tanti anni, di trasformare la (ritrovata) coscienza su questo problema in una mobilitazione a sua volta collegata a una agenda condivisa, fatta di poche iniziative concrete e praticabili. Da fare adesso. O mai più.

infocamere, mezzogiorno, industria, sud

Mezzogiorno. Se non ora, mai più. Parla Riccardo Maria Monti di Italferr

Di Riccardo Maria Monti

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