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Chi temeva (o magari sperava) che la commissione parlamentare d’inchiesta sulle crisi bancarie fosse una farsa, adesso deve ricredersi: sta lavorando sodo e ha intenzione di stringere i tempi. Ma il suo fervido lavorio non nasconde gli equivoci sui quali è nata. Vediamone alcuni.

1 – Ascoltando le domande e gli interventi dei commissari si sente odore di questura, c’è un che di poliziesco nel modo di porre le domande, è emerso chiaramente durante la prima audizione di Carmelo Barbagallo, il responsabile della Vigilanza. Può darsi che alcuni parlamentari abbiano un’innata vocazione sbirresca oppure che coltivino un ostinato pregiudizio verso la Banca d’Italia più che verso i banchieri i quali concedono pur sempre prestiti, scoperti e castelletti. In chi ha un filo di potere, del resto, scatta sempre la sindrome del grande inquisitore. Tutto questo è possibile, ma forse la spiegazione è meno psicologica e si regge su un altro equivoco.

2 – Si capisce chiaramente la voglia di incastrare la Banca d’Italia dimostrando che ha violato le regole. Ma è una illusione. Non si può escludere che qua e là emergano delle mancanze, vedremo, tuttavia sembra chiaro che a Palazzo Koch hanno seguito meticolosamente tutte le norme, anche troppo. Il problema semmai è che la banca centrale non ha esercitato con la dovuta energia la cosiddetta moral suasion coinvolgendo in questo anche la Bce. È una questione che ha a che fare non con le regole scritte, ma con i comportamenti concreti. Non basta inviare i dossier ai magistrati, bisogna cacciare i banchieri incapaci e truffaldini, senza tornare al dirigismo di un tempo (cosa che Barbagallo ha escluso e nessuno che abbia buon senso vuole).

3 – Se il problema è questo, allora entra in campo la politica e i politici non possono sottrarsi alle proprie responsabilità. Maria Elena Boschi è stata accusata di aver chiesto a Federico Ghizzoni, allora amministratore delegato di Unicredit, se poteva aiutare la Banca dell’Etruria. Forse non sapeva che Ghizzoni aveva cercato di aiutare la Popolare di Vicenza garantendo un aumento di capitale in vista della quotazione in Borsa, non c’era riuscito e stava per essere licenziato. Ma che dire di Luca Zaia che fin dal 2010 (quando già era chiaro che la banca si reggeva su quotazioni di panna montata) voleva fondere la Popolare di Vicenza con Veneto Banca per creare, pensate un po’, un polo veneto in grado di sfidare Intesa e Unicredit, puntando addirittura alle Generali? In tutti questi anni Zaia e la Lega hanno cercato di salvare le due pupille, fino a chiedere l’intervento pubblico con i denari dei contribuenti, di tutti, anche quelli che non sono veneti e non hanno nulla a che fare con le due banche.

4 – E qui veniamo all’equivoco più grande. È convinzione diffusa dei politici, di tutti (le elezioni sono vicine) che i risparmiatori onesti che pagano regolarmente gli interessi sui loro mutui e sui prestiti debbano farsi carico, come contribuenti, ma anche come clienti delle banche sane, dei debitori che non vogliono pagare e hanno creato la montagna di crediti in sofferenza che adesso è tanto difficile smaltire. Non per fare i tedeschi, ma questo è profondamente ingiusto oltre che insano, segno di una malattia profonda della società. Si dice: ma quei poveretti hanno perso tutto con la crisi e non possono restituire il denaro preso in prestito. Vero, ma quanti di loro? Davvero sono centinaia di migliaia come dicono la Lega e il M5S?

5 – Cadiamo così nel maledetto imbroglio politico-mediatico. Se fossero centinaia di migliaia, le aree del Paese irrorate di prestiti dalle banche fallite sarebbero al collasso, in particolare Vicenza, Siena e Arezzo. Invece, in base a tutti gli indicatori dell’Istat hanno superato la crisi meglio di molte altre, restano tra le più ricche d’Italia, il loro prodotto pro capite è ben superiore alla media, i consumi sono aumentati, c’è il record di auto nuove, a cominciare dai suv. Tra il 2011 e il 2015 quindi negli anni in cui è esplosa la crisi delle banche poi fallite, il Veneto e la Toscana (la dove operavano la Popolare di Vicenza, Veneto Banca, il Monte dei Paschi e la Banca dell’Etruria) sono le regioni che hanno accresciuto ulteriormente il prodotto lordo e i loro consumi pro capite.

6 – Come mai proprio in quegli anni sono aumentati in modo esponenziale i crediti in sofferenza, mentre continuavano a crescere redditi, ricchezza e consumi? Una semplice spiegazione è statistica: la media copre le diseguaglianze, i ricchi sono diventati più ricchi ma molti si sono impoveriti. Può darsi, bisogna studiare indici più sofisticati come quello di Gini. Un tedesco sospettoso darebbe un’altra interpretazione: non sarà che di fronte alla recessione molti hanno scelto di non pagare i debiti per salvare i propri consumi? Magari contando che, come dice un vecchio adagio, se devi 100 mila euro è un problema tuo se ne devi un milione è un problema della banca e dei contribuenti che sono chiamati a salvarla? I politici, dunque, si trovano di fronte a un nuovo dilemma: proteggere gli elettori del Veneto e della Toscana a spese di tutti gli altri, garantisce davvero la rielezione?

Sono domande alle quali la commissione d’inchiesta non puo’ dare risposta. Lo capiremo, forse, la prossima primavera. Intanto giornali, tv e aule parlamentari continueranno ad alimentare la leggenda dell’ignaro risparmiatore e in piazza avremo l’esercito delle vecchiette alle quali politici nient’affatto ignari metteranno in mano cartelli con scritto venduti.

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Pier Ferdinando Casini

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