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Cosa succede se Bruxelles ammette che un pessimo accordo per la Brexit, o, peggio, l’ipotesi di un no-deal, danneggeranno il commercio di mezza, se non di tutta, Europa?

Un rapporto dell’Ue diffuso in queste ore sta svelando il reale stato in cui verseranno città e Paesi del blocco che si affidano alla Gran Bretagna per commercio e produzione.

La stampa inglese non ha perso occasione per ricamarci sopra. E come biasimarli. In particolare non ha esitato a ricordare come, a mo’ di presa in giro, la regione francese di Hauts-de-France, che ha dato i natali al presidente Emmanuel Macron, teme che la Brexit finirà con l’annichilire il suo settore manifatturiero automobilistico. François Decoster, funzionario della regione Hauts-de-France, ha dichiarato a Bruxelles: “Nel settore automobilistico, ci sono grandi preoccupazioni riguardo alle future relazioni con il Regno Unito, in particolare da parte della casa automobilistica Toyota, che opera nella regione. Ad esempio, il 13% delle esportazioni di Yaris, solo nel 2016, è andato nel Regno Unito”. Ma non è solo in Francia che i sudori freddi stanno facendo alzare le antenne ai vari leader.

In Polonia la preoccupazione maggiore risiede nel calo drammatico del bilancio Ue quando la Gran Bretagna firmerà il suo divorzio, mentre la provincia di Lublino teme la riduzione delle esportazioni “in particolare di prodotti agricoli e agroalimentari”. In Olanda il settore della pesca non vorrebbe perdere l’accesso alle acque del Regno Unito: nelle province di Flevoland e Overijssel è previsto un calo di ben il 60% per l’attività della pesca.

Il tentativo dei leader europei di mantenere un’unione solidissima nei negoziati sulla Brexit si sta scontrando, pertanto, con la realtà. È così che la paura guida i nuovi accordi diplomatici, con la speranza di conquistare la tutela delle singole economie, eppure sono mesi che tutti ripetono che l’uscita della Gran Bretagna sia un male solo per gli inglesi.

Peter Bone, deputato di Tory per Wellingborough, ha dichiarato al Mail Online: “Ci saranno molte pressioni da parte delle aziende all’interno dei vari Paesi dell’Ue perché si raggiunga un accordo commerciale”.

È sempre più evidente, insomma, che un’Inghilterra che abbandoni l’Ue senza un accordo di libero scambio costerà al club dei 28 soprattutto in termini di occupazione. Timori che coinvolgono persino la Germania della cancelliera intransigente: il Regno Unito è il quinto più grande partner commerciale di Berlino.

Un accordo commerciale post-Brexit è considerato fondamentale dalla regione delle Fiandre: “Una Brexit dura comporterà 42mila posti di lavoro persi, mentre un accordo commerciale potrebbe limitare questi a 10milaposti di lavoro”, è l’analisi del funzionario locale Karl Vanlouwe. Il Regno Unito è il “quarto mercato di esportazione per le Fiandre con 27,66 miliardi di euro” e “il settore dei trasporti su strada fiammingo sarà molto colpito a causa di cambiamenti doganali, libera circolazione delle persone, e potenziali divergenze in fatto di norme in materia di salute e sicurezza”.

E se per Cipro l’Inghilterra è il principale partner nei servizi, per la Svezia rappresenta il suo terzo maggiore investitore straniero. Niente di trascurabile. Nei Paesi Bassi, sono le regioni centrali le più preoccupate. La delegazione olandese cita la ricerca della banca olandese ING, rilasciata a maggio dello scorso anno, che ha disegnato una top 10 delle regioni più colpite: la prima è la provincia di Utrecht, dove l’8,5% delle esportazioni è in Gran Bretagna. La provincia di Groningen, nel nord, è preoccupata, invece, per la dipendenza dal commercio di gas naturale con il Regno Unito.

E secondo indiscrezioni della stampa britannica, non è tutto qui. Pare infatti, che la Brexit aprirà una falla di 10,2 miliardi di euro(£ 8,99 miliardi) nelle casse dell’Unione Europea quando il Regno Unito avrà abbandonato definitivamente il blocco nel 2021.

Saranno Austria, Svezia e Paesi Bassi a pagare il conto più salato. Secondo le proiezioni della Direzione generale per le politiche interne del Parlamento europeo, l’Austria dovrà pagare 413 milioni di euro all’anno (363 milioni di sterline) per colmare il gap di finanziamento lasciato dall’uscita del Regno Unito. Il che significa che il contributo di bilancio annuale è destinato a salire di uno sconcertante 15,33 per cento.

E su base pro capite solo gli svedesi si troveranno un conto peggiore degli austriaci. Cinquantacinque euro per ogni cittadino in più ogni anno, a fronte dei quarantasette euro austriaci. Numeri e cifre che lasciano presagire una nuova bufera di euroscetticismo sul Vecchio continente?

Intanto, sono diverse anche le Ong che, nonostante tutto, nell’ipotesi di uno scenario senza accordo, e quindi di un ostentato muso duro di Bruxelles, perderanno centinaia milioni di fondi Ue con la Brexit.

Preoccupazioni economiche, dunque, ma anche legate all’immigrazione e alla gestione del turismo: nel giro di un mese circa, in tutta Europa si combatterà una vera e propria guerra ideologica sul modo migliore di accogliere la Gran Bretagna dopo la Brexit e contemporaneamente rivitalizzare le fortune del blocco.

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