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Finito il primo giro di consultazioni, la Città Eterna si divide tra due sentimenti opposti, che interpretano perfettamente le due facce della capitale politica della nazione. Cominciamo da quella non ufficiale, quella “ben informata”, quella dei circoli di massimo livello che frequentano i palazzi istituzionali.

Qui non solo si dà l’accordo di governo come cosa fatta, ma addirittura si lavora alacremente all’organigramma ministeriale, che possiamo proporre in “anteprima”, esattamente come ci arriva da fonte di assoluta autorevolezza. L’accordo raggiunto direbbe quanto segue: Di Maio premier, Salvini all’Interno, Giorgetti all’Economia e Frattini agli Esteri. Quindi uno schema di forte legame tra Lega e M5S, con il Cavaliere che (per ora) si adegua.

Poi ci sono le dichiarazioni all’uscita dai colloqui con il Capo dello Stato.

Qui diventa utile una trasposizione in chiave “motoristica” della situazione, perché Di Maio e Salvini escono dalla due giorni al Quirinale come seduti dentro una macchina da rally impegnata in una frazione della Parigi-Dakar. Di Maio al volante come è giusto per il leader più votato e come emerso chiaramente dalle parole usate anche oggi, Salvini a fare da navigatore con consumata esperienza e significativa dose di pazienza. La tappa è lunga, gli incidenti sono sempre possibili e gli ostacoli innumerevoli. Però la mappa c’è, il motore gira discretamente e le gomme tengono la strada.

Mattarella chiarisce che ci vuole tempo, Di Maio parla di Pd e Lega senza infierire sul Cavaliere, Salvini ribadisce che la sua è una coalizione ma senza mettere le dita negli occhi ai pentastellati: insomma oggi è il giorno del buon senso, ai limiti della distribuzione di camomilla a tutti, giornalisti compresi.

Possiamo dire che è tutto a posto? No che non possiamo.

La legislatura per andare avanti ha bisogno di un accordo tra soggetti che si sono menati come forsennati non più di qualche settimana fa, superando rilevanti incompatibilità caratteriali e non pochi problemi di carattere programmatico. Insomma resta un equilibrio precario, con il rischio concreto che tutto precipiti verso nuove elezioni. Però certamente oggi tutti i partiti “candidati” a governare hanno evitato di gettare benzina sul fuoco, pur senza fare marce indietro.

Vale anche per il Pd, che non vede l’ora di farlo nascere quel governo. All’opposizione si rimarginano più in fretta le ferite.

Di Maio pilota e Salvini navigatore, il rally è cominciato

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