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Forse adesso si spiega il colpo di mano fiscale di Mosca. Vale a dire a dire chiedere, come raccontato da Formiche.net, a tutti i contribuenti in debito con lo Stato, di pagare tutto e subito, senza passare per un tribunale, come in quasi tutte le economie avanzate accade. La verità è che al Cremlino servono soldi e anche il più presto possibile. Perché?

Almeno tre banche russe, di qui a qualche mese, potrebbero dover essere salvate da Mosca, con soldi pubblici. E con le entrate da idrocarburi in caduta libera e le sanzioni sempre più aggressive (l’ultimo pacchetto europeo ha chiamato in causa persino due istituti cinesi), senza considerare i 300 miliardi di asset russi ancora congelati nei forzieri del Vecchio continente, c’è da credere che quei soldi strappati ai contribuenti morosi servano proprio questo scopo. Non sarebbe comunque la prima volta per l’ex Urss: nel 2017 la Bank of Russia aveva speso almeno un trilione di rubli per salvare Otkritie, Promsvyazbank e B&N Bank.

Ora, secondo quanto riportato da Bloomberg almeno tre banche russe di “importanza sistematica” hanno discusso privatamente della possibilità di chiedere un salvataggio statale entro il prossimo anno se la qualità dei prestiti continuerà a peggiorare. Non bisogna mai dimenticare che il sistema bancario russo è sotto pressione come non mai: con i tassi al 20% e con un’inflazione al 9,4%, chiedere un prestito in banca è diventato ancora più difficile. Rimborsarlo quasi impossibile. Di qui i primi buchi nei bilanci, sotto forma di crediti in sofferenza. Prima o poi il bubbone esploderà, sempre che non sia già successo. Sempre secondo l’agenzia americana, alcune delle più grandi banche russe temono che i loro prestiti possano andare in sofferenza in misura ben maggiore di quanto indichino i dati ufficiali. Se questi timori si concretizzassero, le perdite che ne deriverebbero potrebbero costringerle a sollevare la questione con la banca centrale e a cercare il sostegno del governo.

E pensare che, Elvira Nabiullina, presidente della banca centrale russa, ha sostenuto di recente che il settore bancario del Paese è “ben capitalizzato”, mentre i dati ufficiali della banca centrale descrivono un sistema in condizioni stabili e sane. Ma c’è chi non la pensa così. E sono le stesse banche vigilate dalla Bank of Russia, oltre alle imprese che proprio con gli istituti sono indebitate. Banchieri e imprenditori, a margine del recente Forum economico di San Pietroburgo, hanno lanciato il primo allarme rosso ufficiale, paventando la possibilità, ora più concreta che mai, di fallimenti a catena. I crediti problematici sono già stimati in migliaia di miliardi di rubli (oltre 12 miliardi di dollari), costringendo le banche a ridurre i finanziamenti, per evitare il crack. Solo tra gennaio e febbraio 2025, i portafogli di prestiti alle imprese si sono ridotti di circa 19 miliardi di dollari.

Un’ulteriore pressione deriva dai prestiti agevolati concessi in tempo di guerra, sempre più difficili da recuperare. La Banca centrale russa ha riferito che a maggio che 13 delle 78 maggiori aziende del Paese non sono già in grado di onorare il proprio debito. Di più: l’agenzia di rating Acra riporta che il 20% del capitale delle banche russe è legato a debitori ad alto rischio di insolvenza. Gli analisti ora prevedono, non a caso, una “moderata probabilità” di una crisi bancaria sistemica entro aprile 2026, se le condizioni del credito continueranno a deteriorarsi. Forse è tempo che Mosca metta mano al portafogli. Sempre che dentro ci sia qualcosa.

Le banche russe traballano. Per Mosca è l'ora dei salvataggi (di Stato)

Era solo questione di tempo, ma alla fine i nodi sono arrivati al pettine. Almeno tre istituti russi entro qualche mese potrebbero necessitare di una ricapitalizzazione di Stato, orchestrata dalla Bank of Russia, sulla falsariga dei salvataggi del 2017. La domanda però è un’altra: dove trovare i soldi?

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