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Alla fine il presidente americano Donald Trump ha preso posizione su una delle polemiche che sta creando discussione tra l’opinione pubblica negli Stati Uniti e che rischia, come tutto in questo momento, di polarizzare ancora di più gli americani: l’eliminazione dei tanti monumenti di Cristoforo Colombo perché considerati evocativi di un periodo di violazione dei diritti, violenze, soprusi. “Cinquecentoventicinque anni fa, Cristoforo Colombo ha completato un viaggio ambizioso e audace attraverso l’Oceano Atlantico fino alle Americhe. Il viaggio è stato un’impresa straordinaria e ineguagliabile che ha aiutato a lanciare l’età dell’esplorazione e della scoperta” ha detto Trump nello statement ufficiale con cui ha proclamato per il 9 ottobre il Columbus Day del 2017 (la festa americana per il viaggio di Colombo cade abitualmente nel secondo lunedì di ottobre, e viene annunciata dalla Casa Bianca).

“Trump ha fatto un pubblico elogio della figura di Cristoforo Colombo, ancora una volta si conferma campione dell’impoliticamente corretto, avversario delle banalità del nostro tempo”, commenta Gennaro Sangiuliano, vicedirettore del Tg1 e autore del libro “Trump. Vita di un presidente contro tutti“.

La dichiarazione di Trump è tutta politica. Quando nello statement dice che “l’arrivo permanente degli europei […] è stato un evento transformative che innegabilmente e fondamentalmente ha cambiato il corso della storia umana e ha posto la base per lo sviluppo della nostra grande Nazione” fa una provocazione perfetta a tutti coloro che stanno muovendo azioni di vario genere per eliminare proprio i monumenti che ricordano quella fase storica. “Simboli d’odio” li ha chiamati Bill de Blasio, sindaco di New York, città di Trump dove il Columbus Circle è un luogo di riferimento; e infatti le parole del sindaco hanno provocato la reazione dura dei tanti italo-americano e non solo. C’è già addirittura chi ha deciso di sostituire il Columbus Day con un più pol corr “Indigenous People Day”. Sul politically correct dietro a certe volontà si basano la maggior parte delle contromosse dei critici, e su queste Trump fa leva perché sa che mentre le volontà di rimozione di quei monumenti arrivano da aree liberal piuttosto spinte, dall’altra parte sono i conservatori più agguerriti – il popolo di Trump, appunto – a battersi per la conservazione, in una polemica che scavalca i monumenti di Colombo e arriva fino a quelli dei confederati.

È la questione dietro all’atto di terrorismo interno in cui un manifestante nazista ha ucciso una ragazza a Charlottesville investendola con la propria auto in uno degli episodi che ha riportato recentemente a galla il problema (ampio, ampissimo, dei gruppi razzisti e nazisti violenti negli Stati Uniti) e su cui Trump ha stentato a reagire con veemenza contro i suprematisti bianchi, che da anni protestano contro le voglie di rimuovere i monumenti dei simboli sudisti; va ricordato che quelle statue sono state effettivamente erette dai consigli municipali conservatori via via negli anni non come semplice memoria storica, ma proprio per sfregiare ogni conquista per i diritti umani in America, e da questo prendono spunto le richieste di rimozione, osteggiate da anni dalla destra più estrema.

Con la presa di posizione Trump segna anche una distanza, l’ennesima (perché molto apprezzate dalla sua base elettorale), dal suo predecessore Barack Obama, che più o meno un anno fa, proclamando il Columbus Day riconobbe la potenza dell’esplorazione di Colombo, ma disse che era arrivato pure il momento di “riconoscere il dolore e la sofferenza riflessi nelle storie degli indigeni nativi che da tempo hanno soggiornato in questa terra prima dell’arrivo dei nuovi arrivati ​​europei”. Un lato della scoperta americana che Trump non ha per niente affrontato.

L’attuale presidente americano ha invece colto l’occasione per toccare aspetti più concreti, come “riaffermare i nostri stretti legami con il Paese di nascita di Colombo, Italia. L’Italia è un forte alleato e un valido partner per promuovere la pace e promuovere la prosperità in tutto il mondo”. In questi giorni un articolo piuttosto discusso – più che altro in Italia – pubblicato dal New Yorker si chiedeva come mai a Roma, e in tutto il resto d’Italia, rimangono in piedi ancora tanti simboli del regime fascista; simbolo preso a modello dall’autrice, la professoressa di Storia italiana all’Università di New York Ruth Ben-Ghiat, il Palazzo della Civiltà Italiana all’Eur, non un’icona modernista ma “una reliquia di un’aberrante aggressione fascista”. Replica contenuta nell’articolo stesso di Rosalia Vittorini, capo della Docomomo (associazione che si occupa della conservazione dei complessi urbani) come risposta alla domanda di fondo cosa sentono gli italiani a vivere tra i ricordi della dittatura : “Perché pensate che dovrebbero pensare qualcosa?”, le nostre città sono piene di memorie, di tracce del nostro passato, più o meno positive.

W Colombo e W l'Italia. Parola di Trump

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