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“Non gioco più”, cantava Mina in uno dei suoi più celebri motivi e, almeno in parte, ora lo Stato prende quelle parole alla lettera. Con un’importante, ma non scontata intesa fra governo, regioni ed enti locali, l’intero comparto del gioco d’azzardo verrà ridefinito. Il riordino, che sarà fatto con decreto ministeriale entro il 31 ottobre, porterà al dimezzamento dei punti-gioco nel giro di tre anni (oggi sono ben 400 mila) e all’aumento e miglioramento dei controlli su tutto il territorio nazionale.

L’obiettivo è cercare di arginare il drammatico fenomeno della ludopatia, cioè la dipendenza pratica e psicologica dal gioco d’azzardo che colpisce un milione e trecentomila cittadini. In sostanza, il tentativo è quello, non facile, di continuare ad assicurare la volontà di divertimento a tutti riconosciuta (ma in luoghi certificati e lontani da scuole o chiese), combattendo, però, la patologia che spesso annienta i più deboli, gli anziani, le persone sole che sognano un cambiamento delle loro vite a suon di facili e rapide scommesse. Ma poi si ritrovano ad aver buttato via, senza neanche essersene accorti, un mare di soldi, restando prigioniere del naufragio.

Da tempo associazioni, partiti e diretti testimoni dei rischi a cui vanno incontro tante persone davanti alle macchinette mangia-soldi, avevano sollecitato le istituzioni al difficile intervento. Difficile, perché il settore delle slot machine più tutti gli altri giochi di nuova generazione vale dieci miliardi all’anno. Ed è un settore in crescita. Rappresenta un buon ingresso anche per l’erario, con un incremento che, negli ultimi tempi, ha sfiorato il 31 per cento in più. Rinunciare in parte alle entrate sicure e in aumento dei vari video-poker più tutto il resto dell’azzardata compagnia, ecco la coraggiosa novità. Che punta a “guadagnare”, semmai, sull’altra faccia della florida medaglia: i costi sociali e umani inaccettabili in uno Stato degno.

Della novità potranno beneficiare soprattutto le tre regioni più propense al gioco: Lombardia, Lazio e Veneto (in quest’ultima la spesa s’aggira sui 960 milioni di euro). Gli enti locali potranno contemplare norme ancor più severe. E i punti-gioco dovranno sottostare a orari precisi. Saranno, inoltre, chiesti i documenti ai clienti.

Nel complesso è un cambiamento lento e macchinoso. Ma la scelta è giusta: difendere gli indifesi e rendere la società più consapevole dell’invisibile, ma tragica sindrome del “mal di gioco”.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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