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C’è un aspetto nevralgico della crisi nordcoreana, su cui esperti, analisti, intelligence, concordano: semmai il dittatore Kim Jong-un dovesse decidere di entrare in un meccanismo di dialogo negoziale (semmai sottolineato, ndr), lo farà soltanto dopo aver dimostrato al mondo di essere in grado di montare una testata nucleare su un missile balistico capace di colpire con un raggio di azione che arrivi fino agli Stati Uniti. È il modo per sedersi al tavolo da una posizione di forza, per forzare quello su cui alcuni analisti stanno discutendo da tempo: l’accettazione (utopica?) che il Nord a questo punto sia diventato una potenza nucleare a tutti gli effetti (e portarsi dietro le conseguenze in termini di riequilibri globali).

L’ULTIMO TEST

Il test di oggi, venerdì 15 settembre, è un passo verso l’obiettivo di Kim: il missile balistico che ha sorvolato il Giappone per la seconda volta in poche settimane non ha viaggiato in traiettoria standard (ossia seguendo l’arco balistico) come prevedevano le intelligence sudcoreane nei giorni scorsi, ma ha raggiunto una distanza pari a 3700 chilometri, e questo significa che potrebbe arrivare a colpire la costa occidentale degli Stati Uniti. Potrebbe salvo inghippi tecnici su cui però è sconsigliato scommettere. Ogni test effettuato la Corea del Nord acquisisce maggiori conoscenze: ogni test è un progresso tecnologico (si ripete ogni volta, e questo è il quindicesimo lancio del 2017). È stato così, ovviamente e a maggior ragione, anche quello nucleare eseguito il 3 settembre.

I KILOTON DI KIM

Gli analisti di 38 North, sito tra i più informati su quello che succede a Pyongyang (è una pubblicazione del U.S.-Korea Institute della Johns Hopkins School of Advanced International Studies ed è guidato da un ex funzionario del dipartimento di Stato americano), stimano a 250 kilotons la potenza della deflagrazione atomica di inizio mese. Le stime, effettuate applicando una formula standard costruita da scienziati americani, si basano sulle misure dirette della magnitudo del terremoto provocato – sia il CTBTO (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization) che il NORSAR (centro studi sulle geoscienze) concordano adesso che la magnitudo prodotto è stata 6.1, e 38 North riporta anche le immagini satellitari delle frane indotte dalle sollecitazioni sismiche prodotte dall’esplosione sulle montagne circostanti (sono un altro elemento dimensionale, sebbene indiretto).

LE PREOCCUPAZIONI AMERICANE

Giovedì, il generale John Hyten, capo del Comando Strategico del Pentagono (quello che controlla le armi nucleari americane), ha detto che ormai “si può dare per assunto” che il 3 settembre la Corea del Nord abbia testato una bomba a idrogeno: “Non sono uno scienziato nucleare”, dice Hyten, ma come militare devo prenderlo per certo ciò che vedo: loro hanno una bomba H e “posso dedurlo dalle osservazioni che abbiamo in mano”. La bomba H è la più tecnologica delle tipologie di armi atomiche, ha una detonazione che si sviluppa in due fasi (la prima è basata su processi atomici di fissione nucleare, la seconda sulla fusione nucleare), e per questo produce un’esplosione che è molto più potente delle bombe atomiche tradizionali, (i dispositivi detti a fissione pura). Resta il punto della miniaturizzazione, ossia la capacità tecnica di rimpicciolire le testate per renderle trasportabili dai missili, ma anche su questo Hyten non ha buone notizie: “È solo questione di tempo”, dice il generale secondo una linea che gli esperti sostengono da tempo (ogni test un passo avanti, si diceva).

IL CONFRONTO STRATEGICO

Hyten ha parlato a un gruppo ristretto di giornalisti embedded al capo del Pentagono James Mattis, che proprio giovedì è volato in Nebraska, dove all’Offutt Air Base ha sede lo StratCom. Mattis, che ha parlato anch’egli di una bomba “di dimensioni superiori ai 100 kiloton”, ha ricevuto giovedì un briefing sulla revisione degli armamenti nucleari americani, secondo una relazione di contabilità che il presidente Donald Trump aveva ordinato a gennaio e che dovrebbe ormai essere pronta. Mattis è tornato su una sua vecchia dichiarazione del 2015, quando era un comune cittadino e pensava che gli Stati Uniti avrebbero anche potuto tagliare il programma dei missili balistici intercontinentali (gergo tecnico ICBM, come quello testato oggi dal Nord) eliminando un sistema di lancio – quello terrestre. Adesso, il capo del Pentagono dice che l’America deve disporre di tutta la panoplia possibile e avere lanciatori sommergibili, aerei e di terra.

COSTI E CRUCCI PER TRUMP

L’ufficio del budget del Congresso americano ha stimato il costo totale per l’aggiornamento dei bombardieri nucleari, dei sottomarini e dei sistemi missilistici, in circa 400 miliardi di dollari, un impegno da spalmare fino al 2026, ma che è comunque alto dato i vincoli di bilancio attuali. Ma è un investimento che Washington dovrà fare se vorrà intestarsi la soluzione della crisi nordcoreana e muovere da un punto di forza sul Nord, o soprattutto – visto che per Trump sarà difficile come per tutti i suoi predecessori arrivare a una soluzione – se dovrà accettare di convivere con un Kim-atomico. “Abbiamo la capacità di dissuadere la Corea del Nord dalla volontà di sviluppare le potenzialità che potrebbero minacciarci?” ha detto Hyten. Facciamoci una domanda diversa, ha proseguito il generale: “Io (Hyten comanderebbe le operazioni in un’eventuale guerra nucleare contro Kim, ndr), ossia il Comando Strategico americano, ha la capacità di dissuadere un avversario da attaccare gli Stati Uniti con armi nucleari? Sì. Perché sanno che la risposta sarà la distruzione di tutta la loro nazione”.

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