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“Non si tratta di un Pd bonsai, Liberi e uguali vuole offrire un’alternativa a coloro che si sono sentiti delusi dalle politiche degli ultimi anni, come il jobs act, la riforma della scuola e la riforma costituzionale”. Così la presidente della Camera Laura Boldrini ha delineato per brevi tratti, in un’intervista al Corriere della sera, l’identità del nuovo partito, a cui ha ora ufficialmente aderito: il collante non è semplicemente l’antirenzismo epidermico e, direi, antropologico, ma un antirenzismo identitario.

In sostanza, sembra di capire, Liberi e uguali vuole semplicemente riportare indietro le lancette dell’orologio, a prima che sulla scena comparisse impetuosamente il “ragazzotto fiorentino” e come un fulmine “scalasse” la “Ditta” e spezzasse quelle “catene” che per tanto tempo avevano tenuto ferma la sinistra impedendole di essere maggioritaria.

Una sorta di blairismo fuori tempo massimo, e per di più nei fatti molto più timido, il renzismo di governo. Ma senza dubbio la medicina giusta per un Paese al palo e attardato anch’esso, incapace di avviarsi lungo la strada di quelle “riforme strutturali” che, come l’araba fenice, tutti dicono di volere ma nessuno fa. Come è finita, lo sapete. Persa la battaglia di ogni battaglia, quella costituzionale, Renzi aveva di fronte due vie: o quella di trarne le conseguenze e fare un passo indietro serio e coerente, o cercare di rimanere in ballo e rigenerarsi. Ma dal potere è difficile staccarsi, soprattutto per chi lo ha assaporato da poco. Renzi non ha mostrato la tempra dei grandi statisti di un tempo e ha scelto la via più facile, la seconda, finendo per consumare ancora più la sua immagine vincente già logorata da tre anni di governo (in tempi di seconda o terza Repubblica la massima andreottiana sul potere che logora chi non ce l’ha vale al contrario).

Renzi ha così finito per perdere quello che era stato il suo pregio, anche se in pochi glielo hanno riconosciuto: la chiara visione politica, coerentemente riformistica. Essendogli preclusa la vecchia via, che avrebbe significato un harakiri, egli non ha potuto e giustamente voluto accondiscendere le minoranze interne che non avevano mai digerito le sue riforme. La scissione era nei fatti. Non era un problema di carattere o di vocazione al comando solitario. Era questione di identità: il “rottamatore” non può venire a compromessi coi già “rottamati” e riportarli sulla scena. Ma il problema dell’identità restava, anche al tempo di Gentiloni. E Renzi ha tentato di risolvere il problema, che soprattutto per una forza di sinistra continua ad essere importante, divenendo radicale non in ambito sociale, come hanno fatto i già “rottamati”, ma in quello dei diritti.

Quasi una sorta di nuovo partito pannelliano, è sembrato il Pd in questo affannoso scorcio di legislatura. Ma il radicalismo, anche quello liberal o dei diritti, è altra cosa dal riformismo, che è miglioramento graduale e possibile, sofisticata “arte della manutenzione”, non imposizione di un modello etico ritenuto “superiore” alla società.

L’insistenza sullo ius soli, sulle politiche della vita e della morte, sulle rivendicazioni di genere, ecc., rientravano tutte in un tentativo di progetto identitario su base liberal di cui in Italia non sembrano esserci grossi spazi, come la vicenda dei radicali storici ha tutto sommato dimostrato. Ora, il Pd arriva in campagna elettorale con un segretario azzoppato e con le idee molto confuse. Ci può dispiacere o meno, ma un fatto deve essere chiaro: il problema del Pd, cioè del possibile riformismo che continua a mancare in Italia, non è problema di un singolo partito. Aver perso l’anima riformista e aver dato spazio al radicalismo o conservatorismo sociale, fuori del partito, e al radicalismo dei diritti, all’interno, lascia un vuoto in molti elettori, che non hanno più un punto di riferimento, ma anche un’incognita grande sul futuro del Paese. Al quale, come sempre, continuano a mancare i due perni di un sistema politico democratico: un partito conservatore e liberale serio e coerente, a destra, e, appunto, un vero partito riformista a sinistra.

Perché la crisi riformista del Pd riguarda tutti

"Non si tratta di un Pd bonsai, Liberi e uguali vuole offrire un’alternativa a coloro che si sono sentiti delusi dalle politiche degli ultimi anni, come il jobs act, la riforma della scuola e la riforma costituzionale”. Così la presidente della Camera Laura Boldrini ha delineato per brevi tratti, in un’intervista al Corriere della sera, l’identità del nuovo partito, a…

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