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Pubblichiamo un estratto della relazione che l’avvocato Sara Armella terrà in occasione del XIII World Customs Law meeting in programma a Roma dal 6 all’8 settembre 2017, organizzato da International Customs Law Academy (ICLA) presso la sede centrale dell’Agenzia delle Dogane a Roma

Oggi discutiamo di un tema – le politiche doganali e la dialettica tra protezionismo e globalizzazione – che, a causa del nuovo corso della politica Usa (America first) e della Brexit, torna a essere oggetto del dibattito pubblico e della cronaca.

Per molti anni abbiamo avuto la percezione di vivere in un mondo globalizzato: abolite le frontiere in Europa, ridotti fortemente in sede WTO i dazi doganali, diffuse in tempo reale le informazioni tra popoli e culture molto distanti tra loro, abbiamo avuto l’impressione che le frontiere fossero state abbattute.

Si trattava solo di un’illusione collettiva, considerato che le frontiere doganali, e in particolare i dazi, anche se generalmente ridotti, non erano affatto scomparsi.

Non soltanto nei Paesi in via di sviluppo le tariffe doganali sono rimaste alte (16,9% del valore dei prodotti), ma anche nei Paesi industrializzati, alcuni beni hanno continuato a scontare, all’importazione, dazi del 20%, con punte dell’85% in caso di applicazione di misure antidumping.

Sarebbe sbagliato, però, attribuire la responsabilità del rialzarsi delle frontiere soltanto ai fenomeni Brexit e America first: essi rappresentano, infatti, l’effetto, e non la causa, di una nuova tendenza protezionistica, alimentata dalla grave crisi del 2008 e dalle conseguenze sociali e politiche che ha determinato.

Dal 2008 al 2016 i Paesi del G-20 hanno introdotto più di 4 mila nuove misure protezionistiche e il ricorso a questi strumenti ha avuto, negli ultimi 2 anni, un incremento del 50%. L’elemento di novità è rappresentato dal fatto che la forte competizione commerciale tra Usa, Cina e Ue ha ora abbandonato i toni diplomatici della presidenza Obama ed è diventata una delle bandiere politiche di Trump, che ha decretato il naufragio dei negoziati sul Ttip tra Ue e Usa.

Un altro aspetto, che esploreremo nelle giornate del Convegno Icla, è il prevalere del regionalismo sul multilateralismo.

A partire dalla seconda metà degli anni ottanta si è assistito, in quasi tutti i continenti, al proliferare di accordi di integrazione economica su base bilaterale o regionale, sottoscritti per incentivare, con mezzi reciprocamente vantaggiosi, il commercio tra i paesi partner.

Tali accordi sono il risultato sia dell’operare delle forze di mercato che di decisioni politiche: esempi evidenti di questa tendenza sono, oltre all’Unione europea e al Mercosur, le aree di libero scambio del Nafta e dell’Asean.

A livello internazionale occorre distinguere fra tre diverse tipologie di accordi, quali i partnership and cooperation agreements, che disciplinano le relazioni economiche tra due o più paesi, senza eliminare o ridurre i dazi doganali, i free trade agreements che realizzano aree di libero scambio, tra due o più stati, attraverso la riduzione o l’eliminazione delle tariffe doganali e le customs unions, che eliminano i diritti doganali tra i paesi membri e stabiliscono tariffe comuni per le merci estere importate.

Sono circa trecento gli accordi sul libero scambio già attivi nel mondo e, attualmente, altri cento sono in fase di negoziazione o di ratifica. Lo scopo di questi trattati è rafforzare lo scambio commerciale e attrarre investimenti tra alcune aree regionali, attraverso lo strumento delle regole di origine preferenziale.

Per molto tempo, l’individuazione dell’origine dei prodotti è stata di agevole soluzione, ma è con la crescita dei fenomeni di delocalizzazione delle imprese e di segmentazione dell’attività produttiva (global value chaine) che la determinazione del luogo di origine di un prodotto è diventata assai complessa.

Anche sul versante delle esportazioni dall’Unione europea, è fondamentale, soprattutto per le aziende manifatturiere, avere un quadro aggiornato degli accordi di libero scambio e dei trattati commerciali che prevedono una fiscalità doganale agevolata. Ciò consente di approfondirne le condizioni di applicazione e, in particolare, di programmare la natura dei processi produttivi, mediante un corretto utilizzo di componenti e materie prime importate, nei limiti idonei a conferire l’origine comunitaria delle merci.

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