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L’Italia scommette su un suo ruolo crescente nella politica transatlantica volta a garantire la sicurezza internazionale. In un contesto particolarmente complesso in cui l’Europa, nonostante gli sforzi, si presenta ancora in ordine sparso (e ormai senza la Gran Bretagna), la relazione tra Washington e Roma è divenuta fatalmente ancora più rilevante. Il dialogo e il confronto è tanto più forte in quanto non si limita alle sole occasioni formali fra i due governi. A Washington a fare la differenza sono i luoghi in cui le politiche vengono prodotte, ovvero i think tank ed i simposi internazionali. Ed è qui che il nostro Paese ha da qualche tempo aumentato la qualità del suo ingaggio.

In questi giorni, ad esempio, si tiene nella capitale americana il forum transatlantico dell’assemblea parlamentare NATO ora presieduta dall’italiano Paolo Alli. Quale migliore occasione per invitare i partecipanti di questo evento (i vertici del Dipartimento di Stato e del Pentagono insieme ai rappresentanti del Congresso e dei parlamenti dei paesi NATO) presso la residenza dell’ambasciatore italiano? Il capo della nostra diplomazia negli USA, l’ambasciatore Varricchio, non si è fatto sfuggire l’occasione così come aveva fatto pochi giorni fa ospitando l’annuale Board meeting dell’Atlantic Council, uno dei think tank più autorevoli ed influenti di Washington, da sempre impegnato nel promuovere il confronto sui valori di sicurezza e democrazia tra gli Stati Uniti e i Paesi alleati.

La scelta di tenere la riunione presso la sede dell’ambasciata italiana è espressione del positivo confronto su tanti temi strategici per l’agenda transatlantica su cui si fonda un dialogo assai costruttivo tra Washington e Roma. L’istituto, guidato da Fred Kempe, guarda con interesse crescente al ruolo dell’Italia quale player di primo piano nella lotta al terrorismo e in tante partite essenziali per garantire stabilità e sicurezza in aree di crisi. Il focus sul Mediterraneo, l’apprezzamento verso gli sforzi del nostro Paese per contrastare la minaccia terroristica in Libia e il contributo delle nostre Forze Armate alle missioni internazionali in giro per il mondo rappresentano solo alcuni dei pilastri su cui si fonda un confronto strategico storicamente alimentato da rispetto e stima reciproca.

Più volte nel corso del meeting è emersa la soddisfazione per le ottime relazioni tra la leadership del think tank e l’ambasciata italiana. Anche grazie al dialogo proficuo tra le due istituzioni è stato possibile incentivare il confronto con l’amministrazione statunitense e condividere punti di vista e strategie su dossier impegnativi come la lotta ad ISIS, le operazioni contro il Califfato in Siria e Iraq, l’elaborazione di discipline di contrasto agli attacchi cyber, la risposta ai tentativi di ingerenza russa nei processi democratici occidentali.
Si tratta di temi caldi e delicati che trovano in occasioni come queste una possibilità ulteriore di declinazione fuori dai protocolli ufficiali. È il senso di quel soft power che l’Italia intende provare ad esercitare per poter meglio far riconoscere la propria voce. Conoscere il punto di vista statunitense e spiegare efficacemente il nostro è tutt’altro che un esercizio vano. Ecco perché l’amicizia fra le due sponde dell’Atlantico è destinata ad aumentare. È e sarà il frutto di un lavoro intenso e continuativo di chi a Washington rapprensenta l’Italia in ogni contesto opportuno avendo chiara la priorità della difesa e della sicurezza.

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