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A seguito degli ultimi, ennesimi capovolgimenti all’interno della Casa Bianca, con l’uscita di Steve Bannon, stratega ritenuto artefice e al tempo stesso araldo della visione più radicale della presidenza trumpiana, c’è chi sui più grandi giornali americani e non parla di una presidenza “normalizzata”, inseritasi su canali più ortodossi rispetto alle promesse elettorali. Formiche.net ha chiesto a Paolo Magri (nella foto), direttore dell’ISPI e segretario italiano della Commissione Trilaterale, quali cavalli di battaglia della campagna elettorale di Trump sono stati abbattuti sotto la pressione dei suoi collaboratori.

Professor Magri, partiamo da una promessa su cui Trump ha costruito la campagna elettorale che oggi ancora non è stata mantenuta. Perché il muro con il Messico ancora non è stato costruito?

Non era pensabile venisse costruito in pochi mesi ma è difficile pensare venga costruito a breve. Oltre alla scontata opposizione dei democratici – che lo considerano, a ragione, uno dei simboli della presidenza – ci sono resistenze crescenti in ambito repubblicano: è considerato da alcuni inutile, da altri addirittura dannoso per l’impatto che può avere sulle relazioni con il Messico, un partner economico prezioso per gli USA (e per molte imprese americane).

Che tipo di resistenze ha incontrato Trump?

Queste resistenze si traducono in ostacoli al Congresso nel garantire la copertura finanziaria del progetto: ostacoli così forti da portare Trump ad affermare, nei giorni scorsi, di essere pronto ad accettare lo shutdown piuttosto che accettare un accordo sul bilancio che escluda i fondi per il muro.

Perché invece il Muslim Ban difeso da Trump non riesce a passare? Chi mette i bastoni fra le ruote al presidente?

E’ passato in parte: per meno paesi, con qualche correttivo, con un pronunciamento temporaneo della Corte Suprema. Ci sono state resistenze politiche, per il messaggio anti-islam che il provvedimento passava. Problemi operativi nell’implementazione, per la superficialità della prima stesura. Problemi giuridici, per la presunta incostituzionalità in parte risolti con il pronunciamento della Corte.

In Siria Trump è passato dai raid contro Assad a cessare i finanziamenti della CIA ai ribelli. Segno di un ribaltamento della linea tracciata da Obama?

Senz’altro un cambio di rotta anche se non è del tutto chiaro quale sia la nuova rotta! Ciò che è certo è che il dialogo con i russi non si è interrotto, nonostante gli scontri dopo i raid: una buona notizia nel gran caos siriano.

L’escalation di ferragosto con la Corea del Nord è stata un’iniziativa di Trump o una strategia del Pentagono? Come si evolverà nelle prossime settimane?

Anche qui cambio di rotta rispetto ad Obama, anche qui rotta incerta. Ad ogni minaccia USA segue infatti una provocazione del regime Nord Coreano e non è chiara quale possa essere la via di uscita e quale possa essere la reazione della Cina di fronte ad una escalation non solo verbale degli USA. Il ruolo del Pentagono, ovvio considerato la posta in gioco , non è però pari a quello giocato dai militari sulla revisione in corso della strategia in Afghanistan, dove Trump è apparso più significativamente “trascinato” in una revisione radicale della sua posizione sul ruolo USA in quello scacchiere.

Il feeling con la Russia della campagna elettorale ha lasciato il posto alle tradizionali sanzioni e ritorsioni diplomatiche. Chi si cela dietro il cambio di linea?

Il possibile dialogo con la Russia era forse la linea di politica estera più promettente del programma di Trump, anche per noi europei. I passi falsi della sua squadra e dei suoi collaboratori più stretti nei rapporti con Mosca – oggetto delle diverse inchieste in corso – hanno dato fiato ad un persistente atteggiamento anti-russo di ampi settori del Congresso e del Pentagono che hanno messo, credo, una pietra tombale ad ogni prospettiva di dialogo nel breve termine.

A inizio agosto Trump ha minacciato un intervento in Venezuela contro Maduro, obbligando il Pentagono a una smentita. Che possibilità ci sono che gli Stati Uniti si intromettano nella crisi venezuelana?

Sarebbe strano che un presidente “isolazionista” e non interessato ad una politica estera ideologica e incentrata sui diritti umani rispolverasse le politiche intrusive in America Latina ampiamente utilizzate in passato dai suoi predecessori. Ma Trump ci sta abituando a queste “stranezze”…

I rapporti con la Cina hanno alternato fasi di distensione commerciale a fasi di tensione come quella in corso sulla Corea del Nord. Chi spinge in America per mantenere relazioni distese e chi invece vuole il pugno duro?

Il rapporto con la Cina è il tema cruciale degli USA per i prossimi decenni e Trump sta solo esasperando – allargando la banda come è suo stile – l’ambiguita strategica dei suoi ultimi predecessori: collaborazione verso competizione. Minaccia la guerra commerciale contro i prodotti cinesi, poi sfuma facendo balenare una possible marcia indietro in cambio di una collaborazione in Corea, poi rinnova la minaccia perché deluso dalle risposte di Pechino. Posizioni altalenanti, anche per le diverse posizioni degli apparati USA, che La Cina sembra guardare con un misto di preoccupazione e attendismo sul futuro di Trump.

Paolo Magri (direttore Ispi)

Vi racconto piroette e trumpate di Trump. Parla Magri (Ispi)

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