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Conversazione di Formiche.net con Monica Veronesi, Executive Director dell’Italian Scientists and Scholars of North America Foundation, in occasione dell’ISSNAF Annual Event tenutosi ad inizio novembre presso l’Ambasciata d’Italia a Washington DC.

Dott.ssa Veronesi, dal dicembre 2014 lei riveste l’incarico di Executive Director dell’Italian Scientists and Scholars of North America Foundation. Può descrivere l’attività di ISSNAF e i suoi compiti alla guida della fondazione?

ISSNAF è stata fondata nel 2008 ed è un’organizzazione non profit, la cui missione è quella di promuovere la cooperazione in ambito scientifico, accademico e tecnologico tra ricercatori e studiosi italiani che operano in Nord America ed il mondo della ricerca, accademia e industria in Italia. Il mio compito è di guidare la Fondazione, facilitare legami con altre realtà associative e istituzioni di ricerca e la circolazione di informazioni, supportare il coordinamento delle attività dei nostri Chapter – i gruppi locali o di specializzazione in cui siamo organizzati – e rafforzare la sinergia e collaborazione con il Sistema Italia negli Stati Uniti (Ambasciate, Istituti di cultura e Consolati negli Stati Uniti e Canada) e i Ministeri di riferimento in Italia, sotto la guida strategica decisa con il Board of Trustees guidato dal Presidente di ISSNAF, il Professor Vito Campese.

Come valuta il livello di interconnessione tra Italia e USA in un settore tanto importante come quello della cooperazione scientifica?

Grazie al nostro network di oltre quattromila affiliati, fra illustri scienziati e giovani ricercatori, operiamo fra Italia e Nord America (Stati Uniti e Canada). Collaboriamo con altre organizzazioni e fondazioni, istituzioni ed enti governativi, tra cui il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e quello degli Affari Esteri, l’Ambasciata Italiana, la rete Consolare e degli Istituti Italiani di Cultura negli Stati Uniti e in Canada. Noi favoriamo la cooperazione fra singole istituzioni, dipartimenti, laboratori e scienziati cercando di creare opportunità e diffusione di informazioni. Le relazioni sono in crescita, perché nel mondo della ricerca la multidisciplinarietà, le collaborazioni tra diverse discipline, paesi, aree funzionali sono fondamentali. La collaborazione globale è la chiave per trovare modi di mantenere vive la ricerca, l’accademia e l’industria.

Quali sono i successi più significativi raggiunti nell’ultimo anno dai ricercatori italiani negli USA?

Le storie sono davvero tante. Posso raccontare gli ultimi riconoscimenti ottenuti dai nostri ricercatori. Francesco Tombesi, fisico 35enne marchigiano, si è aggiudicato il Premio Aspen: due anni fa aveva conquistato la copertina di Nature grazie a una scoperta, fatta da ricercatore al Goddard Space Flight Center della Nasa, sui venti sprigionati dai buchi neri. Quest’anno è tornato in Italia con il programma Rita Levi Montalcini. Giuseppe Cataldo, PhD e ingegnere al James Webb Space Telescope, ha vinto la Early Career Public Achievement Medal, assegnata dalla NASA ai migliori collaboratori. Riccardo Lattanzi, le cui ricerche provano l’interazione fra i campi magnetici e i tessuti umani, è stato invitato all’E.U.-U.S. Frontiers of Engineers Symposium, evento esclusivo a cui partecipano 60 giovani scienziati, promosso dalla National Academy of Engineering. Ci sono poi i successi dei cinque ricercatori premiati all’ISSNAF Award l’8 novembre. Marco Ruella, torinese di 35 anni direttore associato del laboratorio di Carl June alla University of Pennsylvania, è nel team che ha elaborato la Car-T, terapia all’avanguardia che sfrutta il sistema immunitario del paziente per battere i tumori, appena ammessa nel mercato Usa. Camilla Pacifici, 33enne di Monza, interpreta l’universo studiando la luce che emanano le stelle, con i dati del telescopio Hubble, dal Goddard Space Flight Center di Greenbelt. Angela Bononi, medico di 34 anni originaria di Rovigo, è stata premiata per la ricerca sul legame tra tumori e genetica che porta avanti all’University of Hawaii Cancer Center. Giulia Saccà, matematica romana di 33 anni, è Assistant Professor al Massachusetts Institute of Technology, dove fa ricerca nel campo della geometria algebrica. Marco Pavone, 37enne torinese, è Assistant Professor di aeronautica e astronautica alla Stanford University (premiato da Barack Obama come uno degli ingegneri più promettenti degli Usa), dove ha sviluppato un software che permette ai robot aerospaziali di agire in autonomia, per esempio per esplorare ambienti sconosciuti ed inospitali nel sistema solare, per riparare satelliti in orbita, o per assemblare strutture nello spazio.

Può darci un giudizio su come sia andato l’ISSNAF Annual Event 2017 e fare un pronostico sui progetti per il 2018?

L’evento è andato molto bene, e testimonia la crescita della nostro network. Oltre alle bellissime storie dei giovani finalisti, abbiamo ascoltato autorevoli interventi sul tema di quest’edizione, il rapporto fra la scienza e la rivoluzione dell’Industry 4.0, e su come formare le nuove competenze per le generazioni future. Le frontiere dell’innovazione sono state raccontate da Steve Buckley di FCA, Luigi Staccoli di Pirelli, Jeff Campbell di Cisco, Joseph Szustakowski di Bristol-Myers Squibb, Alessandro Curioni e Fabrizio Renzi di IBM, Raffaella Rumiati dell’Anvur. Nel 2018 vogliamo continuare a percorrere la strada di un rapporto sempre più stretto fra accademia, scienza e mondo dell’impresa innovativa perché crediamo sia importante avere un dialogo stretto e continuativo. Inoltre il nostro focus sono sempre i giovani che accompagniamo nel loro percorso di carriera con programmi di mentoring e supporto sia per andare in Nord America sia a rientrare in Italia. Vorremmo fare più attività in Italia, e giusto per fare un esempio su robotica e longevità. Siamo fra i partner di Fondazione Marche che sta organizzando il primo Expo Meeting sulla longevità ad Ancona (20-23 giugno 2018) dove porteremo importanti scienziati a livello mondiale, startup e aziende italiane e internazionali.

Quali sono i settori della ricerca in cui si presenteranno maggiori opportunità di investimento e crescita per i prossimi anni?

Senza dubbio l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione sono il nuovo trend più promettente, le cui ricadute positive si inseriscono in modo trasversale su più ambiti di ricerca e su diversi settori economici, dall’ingegneria all’aerospaziale fino alla medicina, e assumono un significato più ampio, a servizio dell’uomo. Poi c’è il grande tema della longevità, che significa anche salute e wellness. Più andiamo verso la robotizzazione e la digitalizzazione, più i sensori sono destinati a integrarsi con l’uomo, diventando centrali per determinare la sua salute e qualità della vita.

In che modo ISSNAF intende supportare la cooperazione scientifica tra Italia e Stati Uniti e Canada?

Facendo da “ponte” fra le persone e le competenze, mettendo in comunicazione ambiti diversi, come accademia, scienza e industria. Ad esempio siamo stati fra i promotori, con Piccola Industria Confindustria, MSic (Miami Scientific Community), Odli (Organization for the Development of Italian Studies), Sviec (Silicon Valley Italian Executive Council) il Consorzio Orgoglio Brescia e con l’Ambasciata d’Italia a Washington DC e il Consolato Generale d’Italia a Miami, del Pmi Day che si è svolto il 17 novembre, per la prima volta negli Usa, con 50 piccole e medie imprese italiane protagoniste e 1.100 studenti. Collaboriamo inoltre con fondazioni, come Fondazione Bracco, Fondazione Marche, Aspen Institute e con ordini professionali tra cui il Consiglio Nazionale degli ingegneri e con aziende come IBM, costruendo insieme progetti per erogare borse di studio a giovani studiosi e professionisti che danno loro l’opportunità di studiare e lavorare per un periodo negli Stati Uniti e in Canada, “ospitati” nei laboratori in cui operano affiliati ISSNAF.

Nel confronto con colleghe e colleghi provenienti da ogni parte del mondo, quali sono i punti di forza delle ricercatrici e dei ricercatori italiani?

Come dicevo prima, intensificare gli scambi fra le due sponde dell’Atlantico conviene a tutti. Per i giovani scienziati italiani passare un mese o tre anni durante il dottorato o un post-doc rappresenta una straordinaria opportunità per entrare in programmi all’avanguardia, entrare in contatto con un ambiente multiculturale, mettere in luce le proprie qualità in vista della futura carriera e costruirsi un network di relazioni. Per i professori e ricercatori strutturati che operano negli Usa e in Canada, ospitare ricercatori italiani è di solito un ottimo investimento, perché la qualità della loro formazione è universalmente riconosciuta e apprezzata. Una prova che il sistema universitario del nostro Paese, pur soffrendo per il cronico sotto finanziamento e per il mancato ricambio generazionale, continua a garantire un’alta qualità dell’insegnamento che ci viene riconosciuta all’estero. Abbiamo bisogno però di investire di più in ricerca in Italia e innovare le università, attraendo più studenti stranieri e accogliendo più professori giovani sia italiani che stranieri.

Cosa possono fare le istituzioni italiane affinché il sistema Paese possa trarre un reale beneficio dai periodi che i nostri scienziati e ricercatori spendono nella formazione e nella ricerca all’estero?

Esistono alcuni meritori programmi per il “ritorno dei cervelli”, ma dovrebbero essere accompagnati da seri investimenti in strutture, in risorse umane e apertura reale all’internazionalizzazione. In realtà in un’ottica di globalizzazione del sapere non ha più molto senso parlare di “fuga” e di “ritorno”, piuttosto il concetto da sviluppare è quello di mobilità internazionale degli scienziati, che si spostano dove le condizioni di lavoro e il contesto di ricerca permettono di esprimere il proprio potenziale. Molti ricercatori italiani vorrebbero portare i loro progetti in Italia ma non trovano una situazione favorevole: sia per la difficoltà ad entrare nei meccanismi di selezione delle università, sia per gli stipendi più bassi, ma soprattutto perché sono pochi i centri di ricerca con un livello tecnologico comparabile con il Nord America. Ciò crea anche una barriera all’attrazione di validi ricercatori dall’estero. Le istituzioni italiane dovrebbero favorire la crescita di centri d’eccellenza di livello internazionale, sul modello dell’IIT di Genova o del progettato Human Technopole nell’area Expo di Milano, che ci auspichiamo sia veramente utilizzato come opportunità, a partire dalla scelta del direttore del centro, con una persona giovane, vibrante, che abbia credibilità internazionale e eccellenza scientifica in materia, con capacità anche imprenditoriali, e che porti con se un network globale, posizionando il centro subito al top e come riferimento europeo e mondiale per la genomica. Se cosi non fosse l’Italia perderebbe la grande opportunità di cambiare, innovarsi, aprire realmente le porte al mondo e creare il futuro del nostro Paese. Sono molto delusa dalla partita persa di EMA: Milano è una città con grande energia e cosmopolita ed è pronta ad accogliere le sfide del futuro. Se non sarà EMA sono certa che arriveranno altre opportunità.

In che modo le università e i centri di ricerca americani supportano la comunità di scienziati e ricercatori italiani negli States e in Canada?

Gli italiani non hanno un posto speciale negli States e in Canada: qui ogni comunità nazionale organizza la propria diaspora creando associazioni e fondazioni che fanno lobby, in senso positivo, per aiutare i propri concittadini. Quando presentiamo progetti di collaborazione a università e centri di ricerca troviamo ascolto, a patto che ci sia una qualità di fondo. E agli italiani, come dicevo, su questo aspetto sono spesso in prima fila.

Quali suggerimenti darebbe ai giovani italiani  interessati a un periodo di formazione/ricerca negli Stati Uniti o in Canada?

Suggerisco loro di guardarsi attorno, e di restare aggiornati sulle tendenze della ricerca nel proprio ambito, individuando quali centri in Nord America se ne occupano. E poi di parlare, all’interno dell’università in cui studiano, con i docenti che sembrano più aperti o che magari già hanno messo in campo progetti di mobilità internazionale. Se c’è un’idea del percorso che si vuole intraprendere, ISSNAF è felice di aiutare a trovare la giusta connessione. Molti legami in questo settore nascono da un incontro faccia a faccia, ad esempio intercettare a un convegno lo studioso nel cui laboratorio si sogna di lavorare è una buona occasione per creare un contatto. Quello che in generale suggerisco è di imparare dal modello americano la mentalità che spinge a pensare la propria ricerca come un progetto e a immaginare il modo in cui trovare le risorse con cui finanziarlo, e di sognare in grande, sapendo che con duro lavoro, impegno, flessibilità e idee lo possono realizzare. E di non dimenticare mai la propria italianità, cultura e creatività che sono un grande punto di forza e valore aggiunto.

 

Tutti i successi della comunità scientifica italiana negli Stati Uniti e in Canada. Parla Veronesi (Issnaf)

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