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La vicenda che ha coinvolto l’ormai ex comandante della Polizia Municipale di Milano, Antonio Barbato, va al di là della sostituzione di un alto funzionario del comune. Investe la filosofia del rapporto con la magistratura e, più ancora, le regole deontologiche (non necessariamente scritte) di amministratori e “top manager” di Palazzo Marino.

Le sentenze possono essere oggetto di rilievi critici ma vanno rispettate e gli imputati vanno considerati non colpevoli fino a sentenza definitiva. Ma nel caso di Barbato (e di Franco D’Alfonso, assessore della città metropolitana, sul quale la “riflessione” del sindaco sembra essere al momento rinviata) non c’era né avviso di garanzia né tantomeno rinvio a giudizio perché i magistrati della Direzione Antimafia non hanno ravvisato elementi di reato, né sembra abbiano espresso “per tabulas” valutazioni sui comportamenti in oggetto. Dalle carte dell’inchiesta sono emerse le registrazioni di incontri e colloqui del comandante e dell’assessore, peraltro del tutto legittimi nel momento in cui sono avvenuti, con soggetti successivamente inquisiti dalla magistratura.

Sono stati i contenuti delle registrazioni ad attirare l’attenzione della giunta e delle forze politiche, in particolare sulla disponibilità offerta da un imprenditore (al tempo dirigente di una azienda che aveva in appalto la sicurezza del Tribunale) a far pedinare un dirigente sindacale dei vigili che riscuote (verbalmente ma altrettanto inopportunamente) l’interesse dal comandante. Pur in assenza di ogni responsabilità penale, trattandosi (anche) di un rapporto fiduciario, il sindaco, se nella propria autonomia di giudizio riteneva il fatto grave (non semplicemente una “sciocchezza”), aveva tutto il diritto di richiedere un passo indietro a Barbato, così come, in via di principio, potrebbe chiederlo a D’Alfonso. Ma Sala, prima di decidere, ha chiesto un parere al Comitato per la legalità e la trasparenza che, pur presieduto da un ex magistrato come Gherardo Colombo, è un organismo costituito all’interno del gabinetto del sindaco, definito indipendente, consultivo e di controllo.

Non poteva surrogare, come di fatto è avvenuto, con una “sentenza” di condanna sostanziale inequivocabile e senza appello, quello che era e doveva restare, qualunque fosse stata la decisione, un atto politico del primo cittadino o della giunta. In questo modo si rischia di creare un livello di giudizio comunale parallelo a quello della magistratura che, pur costituito da figure autorevoli sul piano professionale, è stato designato sulla base di maggioranze politiche.

Si potrà assumere una linea di rigore assoluto contro chiunque, con ruoli politici o amministrativi, commetta delle “sciocchezze” Ma chi deciderà quali sono le sciocchezze in questione? La discrezionalità sarebbe inevitabile. E chi deciderà di adire il Comitato per la legalità e per la trasparenza?

Ma c’è qualcosa di più ingombrante all’orizzonte, la vicenda giudiziaria che riguarda Beppe Sala nella sua passata veste di commissario di Expo 2015, accusato di aver modificato una data per guadagnar tempo nella realizzazione dell’evento. Sarebbe auspicabile per Milano che il sindaco ne uscisse indenne. In caso contrario varrebbe anche per lui la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva. E se a qualcuno venisse in mente di chiamare in causa il Comitato per la legalità e la trasparenza?

Su questa vicenda occorrerebbero una riflessione e un cambio di rotta, in caso contrario si rischia di raccogliere solo frutti avvelenati. Nel frattempo la Polizia Municipale è in subbuglio perché ha capito che il successore di Barbato, da 35 anni nel corpo della Polizia Municipale, verrà chiamato dall’esterno. La nomina del comandante è un evento di rilievo, nella carica si sono avvicendati funzionari di polizia (Eleuterio Rea, nominato da Paolo Pillitteri e sostenuto dall’allora pm Antonio Di Pietro), carabinieri come il generale Chirivì e professionisti della sicurezza come Tullio Mastrangelo che ha mantenuto il comando con lusinghieri risultati avendo come sindaco prima Letizia Moratti (che lo aveva designato), poi Giuliano Pisapia e infine Beppe Sala, e che era stato recentemente sostituito dal suo vice Antonio Barbato.

Pare che questa volta sia in pole position Marco Ciacci, un dirigente della questura fino a poco tempo responsabile della sezione della polizia giudiziaria della procura della Repubblica presso il Tribunale, sul quale non mancano apprezzamenti “super partes” e che era tra i candidati anche al momento delle dimissioni di Tullio Mastrangelo. Il rapporto del Comandante con i vigili (e con i vari sindacati) non è semplice perché il lavoro del comparto sicurezza è del tutto diverso da quello degli uffici comunali e la normativa contrattuale del pubblico impiego non favorisce una organizzazione del lavoro efficiente. Ma non vi saranno neppure difficoltà ingovernabili.

Comunque chi vivrà vedrà.

Sala, Barbato e i vigili di Milano. Che cosa succede davvero a Palazzo Marino?

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