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Venerdì 17 novembre un inviato cinese arriverà in Corea del Nord per colloqui (ufficialmente: informerà i compagni sull’esito dell’ultimo Congresso, ma potrebbero esserci dell’altro, e la crisi nucleare facilmente potrebbe finire in cima all’agenda impenetrabile degli incontri).

LA CINA MUOVE I PEZZI DA NOVANTA

La delegazione spedita da Pechino sarà guidata da un pezzo da novanta che si chiama Song Tao: è il capo dell’International Liason Department del Partito Comunista; è il diplomatico cinese di più alto livello che arriverà a Pyongyang dal 2015. E questo significa che la Cina ha dato quanto meno un segnale importante sulla volontà di gestione della crisi. Pechino è il paese che ha più presa, controllo e influenza sul Nord, e il presidente americano Donald Trump ha più volte chiamato in causa la diplomazia cinese perché mettesse un freno a Kim Jong-un (considerato un dittatore vassallo, che però ha un certo livello di imprevedibilità personale e dunque è difficilmente controllabile).

LE DICHIARAZIONI DI TRUMP

Mercoledì, raccontando ai giornalisti il suo lungo viaggio in Asia (12 giorni, con visite agli alleati e un importante incontro a Pechino col presidente Xi Jinping), Trump ha dichiarato di aver raggiunto un accordo con la Cina, sostenendo che insieme i due presidenti avevano scartato dal tavolo l’opzione “freeze-to-freeze“, che consiste in un doppio congelamento: Pyongyang ferma lo sviluppo del programma nucleare, Washington sospende le esercitazioni congiunte con Corea del Sud (soprattutto) e Giappone, e dunque allenta la presenza nella regione. La questione sarebbe di prima importanza, perché questo genere di richiesta non è prettamente made-in-Nord, ma è uno dei punti che la Cina sostiene da tempo, chiamandola “dual suspension“, e coinvolge direttamente Pechino (che gioca di sponda con la Russia su questo ambito) e pure gli alleati americani: Seul e Tokyo non vogliono avviare questo genere di percorso, perché non vogliono rischiare di restare troppo senza America ed essere fagocitate dalla Cina.

E LA SMENTITA CINESE

Giovedì da Pechino è arrivata la smentita cinese alle parole di Trump, con un comunicato garbato ma secco. Il portavoce del ministero degli Esteri ha dichiarato che l’opzione dual-suspension è ritenuta dal suo governo “il piano più fattibile, equo e ragionevole nella situazione attuale” (figurarsi che a marzo, fu il capo della diplomazia cinese in persona ad avanzare la proposta, subito recepita con pragmatismo strategico da Mosca): “Non solo è in grado di alleviare la situazione attuale – ha aggiunto –, ma può anche risolvere tutti i più pressanti problemi di sicurezza, fornire un’opportunità di creare le condizioni per riprendere i colloqui e trovare un punto di svolta per uscire dai guai”. La questione della presenza americana nelle regione è usata da Pyongyang come giustificativo: il regime dice di vedere quelle esercitazioni (attualmente in quel quadrante la US Navy ha inviato tre portaerei) tra americani e partner locali come preparativi per un’invasione, e dunque per difendersi dagli Stati Uniti dice di aver bisogno di costruire la deterrenza nucleare. Intanto dal 15 settembre Kim ha fermato i suoi sforzi: nessun test, qualche proclama, stop alle provocazioni. Incassa le minacce di Trump mentre trama, oppure inizia veramente ad aver qualche timore?

cina dazi

Mosse, parole e smentite fra Usa e Cina sulla Corea del Nord

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