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Sarà un inizio di settimana particolarmente intenso sul tema dell’immigrazione in generale e sulle scelte politiche connesse. Lunedì 24 luglio sono in programma due appuntamenti. A Tunisi si terrà la riunione tra il gruppo di contatto europeo e alcuni Paesi africani: ci saranno i ministri dell’Interno di Algeria, Austria, Ciad, Egitto, Francia, Germania, Italia, Libia, Mali, Malta, Niger, Slovenia, Svizzera e Tunisia, con la presenza del commissario all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, e dell’Estonia che detiene la presidenza di turno dell’Ue. Si discuterà anche dei confini attraverso i quali passano le rotte dei trafficanti che portano migliaia di persone sulle coste libiche, problema che interessa in particolare Libia, Niger e Ciad. Nello stesso giorno si terrà il primo bilaterale tra l’Italia e l’Agenzia Frontex sul tema della regionalizzazione degli approdi alla base della missione Triton. Il 25 luglio, invece, ci sarà l’atteso incontro tra ministero dell’Interno e Ong sul codice di condotta che le organizzazioni non governative dovranno rispettare nell’attività di salvataggio nel Mediterraneo.

Sempre martedì 25, se le anticipazioni dei media arabi saranno confermate, il presidente francese, Emmanuel Macron, riceverà a Parigi il premier del governo libico riconosciuto dall’Onu, Fayez al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, comandante delle forze armate del Parlamento di Tobruk: un incontro che rilancia palesemente le ambizioni francesi sulla Libia. Infine, mercoledì 26 dovrebbe essere reso noto il parere dell’avvocato generale dopo il ricorso di Ungheria e Slovacchia alla Corte di Giustizia europea contro la ricollocazione dei migranti in Europa. Si ricorderà che l’Ue ha aperto una procedura d’infrazione contro Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia che si rifiutano di accogliere la quota loro spettante.

L’Italia in una morsa

Dopo tutti questi vertici il governo italiano saprà se riuscirà a ottenere una qualche forma di solidarietà pratica, e non a parole, oppure se le tensioni europee non si allenteranno. L’ultima feroce polemica del premier ungherese, Viktor Orban, non promette niente di buono: “Intimare” a un governo sovrano di chiudere i porti e di organizzare fuori dall’Ue centri per verificare chi ha effettivamente diritto all’asilo da un lato è inaccettabile sul piano diplomatico, dall’altro forse tende la mano a chi (a cominciare all’Italia) sa che il problema va risolto alla fonte e dunque che in qualche modo bisogna intervenire in Libia e in Africa. E su questo il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) sarebbe ben disposto perché ridurrebbe la pressione e “allontanerebbe” il problema.

Il “luogo sicuro”

Da qualche giorno, nonostante le buone condizioni meteo, non si avvistano barconi all’orizzonte: le cifre del Viminale al 21 luglio indicavano comunque 93.360 arrivi dall’inizio dell’anno, con un aumento dell’11,3 per cento rispetto all’anno scorso. Mentre la polemica politica resta ai massimi livelli, un passaggio dell’intervento di Minniti al question time del 19 luglio forse non ha avuto il risalto giusto: le norme internazionali, ha detto, prevedono l’immediato aiuto a chiunque sia in pericolo in mare “nonché l’obbligo di sbarcare i naufraghi in luogo sicuro. Tali obblighi di soccorso cessano non appena i naufraghi giungono presso il luogo sicuro, che è quella località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, in quanto considerate soddisfatte le necessità primarie, di sicurezza e di protezione dei diritti fondamentali dei naufraghi stessi”. Minniti ha aggiunto un ulteriore concetto: “Secondo le convenzioni in vigore, alla nozione di luogo sicuro non corrisponde quella di luogo più vicino. Il luogo sicuro deve essere individuato nelle proprie acque Sar (ricerca e soccorso, ndr) dalle autorità del paese che assume la responsabilità dell’intervento di soccorso, come tale idoneo a soddisfare le esigenze primarie dei naufraghi”. Dunque, dato che è l’Italia a dover coordinare le operazioni di soccorso vista l’“assenza” di altri Paesi, il luogo sicuro è necessariamente all’interno dell’area di competenza italiana. Se non è il più vicino (per esempio, la Sicilia), sarà più lontano (Campania o Puglia), ma sempre italiano. Sarà davvero interessante capire come un’eventuale rivisitazione del piano operativo di Triton potrà cambiare convenzioni internazionali ratificate dagli Stati.

Immigrazione, ecco perché l'Italia è in una morsa

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