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I prezzi del petrolio sono tornati a salire ma il Wti resta comunque sui 42 dollari al barile e il Brent sui 45 dollari, livelli lontanissimi dai 60 dollari. Quest’ultimo è l’obiettivo di prezzo che si sono posti i sauditi per quotare Saudi Aramco, la compagnia petrolifera statale, e raccogliere così 100 miliardi di dollari. Se si raggiungesse quota 60 in fretta sarebbe un bell’esordio per il nuovo principe ereditario, Mohammed bin Salman. Ma proprio lui è la causa principale degli ultimi ribassi dell’oro nero.

Tutti sanno che il 31enne erede al trono è il principale artefice delle politiche aggressive che caratterizzano la politica saudita degli ultimi anni, dalla guerra nello Yemen alla rottura delle relazioni diplomatiche e commerciali con il Qatar. Inoltre molti Paesi dell’Opec, come l’Iran, il nemico principale dei sauditi, non vedono di buon occhio nuovi tagli alla produzione di petrolio perché hanno il sospetto che Riad voglia fare cadere su di loro l’onere, indispensabile per una buona riuscita dell’ipo di Aramco.

Difficile che i sauditi riducano la produzione proprio in estate, visto che usano il petrolio per produrre l’elettricità che serve a fare andare al massimo l’aria condizionata. E così è facile che la produzione di petrolio rimanga ai massimi dal 2015, come è stato rilevato due giorni fa. I dubbi sussistono nonostante il fatto che il livello di conformità ai tagli sulle scorte di petrolio concordati lo scorso anno dai Paesi produttori di greggio abbia raggiunto a maggio il 106%. Lo ha riportato ieri il comitato di monitoraggio ministeriale congiunto Opec/non Opec (Jmmc).

Il Cartello, assieme ad altri Stati produttori come la Russia, ha siglato nel 2016 un accordo per ridurre l’offerta di circa 1,8 milioni di barili al giorno. Il comitato tecnico dei partecipanti all’intesa si è riunito a Vienna per monitorare l’osservanza al patto, risultata superiore del 4% rispetto al mese di aprile, dando una “dimostrazione convincente della volontà di tutti i membri di continuare a cooperare per il raggiungimento dell’obbiettivo di stabilizzazione del mercato petrolifero”, ha sottolineato il Jmmc.

In ogni caso, dai massimi di febbraio il greggio ha perso il 22% circa, entrando quindi in un mercato orso. Di conseguenza, come hanno sottolineato gli strategist di Ig, le aspettative di inflazione tornano a diminuire. Questo aumenta le probabilità di un rinvio del rialzo dei tassi da parte delle banche centrali mondiali.

(Articolo pubblicato da MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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