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La nuova Siria di al-Sharaa non solo non decolla, ma sembra ogni giorno che passa sempre più avvolta nel caos. Si era sperato che per Ahmad al-Sharaa fosse cominciata un’epoca nuova, nonostante le enormi e persistenti difficoltà, quando è arrivata la notizia più attesa, positiva e importante: la decisione di Donald Trump, nel maggio trascorso, di togliere le sanzioni decretate anni fa contro il regime di Assad, senza attendere processi e  condanne per i terribili eccidi di alawiti verificatisi nei mesi precedenti. Un’apertura di credito al leader che ha tenuto conto dei buoni uffici di sauditi e turchi per la comprensibile esigenza di stabilizzare il Paese. Ma come? Al-Sharaa aveva già promesso chiarezza su quei tragici fatti verificatisi a marzo, che se erano partiti da un tentativo insurrezionale di gerarchi fedeli al deposto regime, alawiti come Assad, avevano visto una reazione governativa presto sfociata in una terribile mattanza indiscriminata di ordinari alawiti, rei di appartenere a quella comunità, compresi bambini, donne, anziani. Benché fosse chiaro che reparti regolari e milizie vicine al nuovo regime avevano preso parte alla  carneficina costata la vita a oltre mille persone, si è probabilmente confidato nella commissione d’inchiesta e nella sua serietà. Al-Sharaa vuole convincere, in una visione molto centralista, tutte le minoranze etniche a far confluire le loro milizie nel suo esercito, gli Stati Uniti stanno lavorando in sede Onu per espandere la rimozione delle sanzioni contro la Siria, ma la fiducia tra le comunità etniche e religiose che non si sentono tutelate dal centralismo basato sulla fedeltà comunitaria di al-Sharaa non si vede. Al-Sharaa a molti sembra  seguire l’impostazione centralista e tribal-comunitaria seguita da Assad, cambiando la base di riferimento ovviamente.

Infatti come con la minoranza alawuita i rapporti con la minoranza drusa sono deragliati per l’improvvida decisione di un gruppo di beduini, legati comunitariamente ad al-Sharaa, di istituire un posto di blocco dove hanno fermato, derubato e rapito un ricco mercante druso. Nel pieno di difficili accordi su come gestire la sicurezza in quelle zone, poteva sfuggire agli uomini di al-Sharaa la pericolosità di un passo del genere? Da allora la situazione è sfuggita di mano e reparti governativi e milizie collegate sono entrati in città, nonostante un complesso carosello di tentativi di riportare la calma, con reciproche accuse di sabotaggio di diversi cessate-il-fuoco tra Damasco ed i drusi. Il risultato è stato un’altra carneficina, questa volta di drusi ovviamente, molto spesso prelevati dalle loro abitazioni. Così la discussione americana sulla rimozione delle sanzioni si è fatta accesa, ha diviso deputati e senatori. Intanto la situazione a Sweida rimane drammatica, emergono solo testimonianze atroci, ad esempio di chi è rimasto con uno o più congiunti uccisi dentro casa, senza poterli portare neanche all’obitorio, ma intanto nessun aiuto alimentare, nessuna merce riesce ancora oggi ad entrare in città. C’è chi attribuisce la colpa ai drusi, che vorrebbero vincere il braccio di ferro e ottenere finalmente l’apertura di una strada che colleghi i loro territori alla Giordania dandogli uno spazio di commercio svincolato da Damasco, lo chiedono da decenni, e chi invece dice che è il governo a bloccare gli aiuti alla città considerata ribelle e da punire.

Intanto aumentano le voci di intesa alle porte con Israele per ripristinare il cessate il fuoco nella Siria del sud e riattivare l’armistizio tra i due Paesi. Voci che circolano ormai da tempo  parlano di smilitarizzazione di tutta la Siria meridionale, fino alle porte di Damasco, e pieno controllo druso sulla sicurezza a Sweida, argomento sollevato da Israele che è stata richiesta di aiuto da parte di alcuni ambienti dei drusi. Ma queste voci, definite credibili, non trovano conferma, da giorni. Si può pensare che se davvero i drusi ottenessero tale trattamento, questo renderebbe ancor più difficile il negoziato con i curdi, nel nord della Siria, un’altra minoranza che per la sicurezza e il pattugliamento del proprio territorio avanza una richiesta molto simile. Un accordo di massima era stato trovato tempo fa, ai tempi del massacro degli alawiti, ma prevedeva equiparazione di tutti i cittadini, mentre la nuova costituzione provvisoria – varata in fretta e furia subito dopo quell’intesa – conferma che la Siria è una repubblica araba (e i curdi non sono arabi) e che il presidente deve essere (come ai tempi di Assad) musulmano, altro elemento di non perequazione in un Paese dove ci sono anche cittadini siriani non musulmani.

Immerso in questa maionese che rischia di impazzire nonostante tante promesse di investimenti dall’estero per evitare l’implosione di un Paese disperato ma cruciale per la stabilità regionale, al-Sharaa secondo l’agenzia Reuters è però riuscito in un’operazione di rilievo: affidare segretamente il dossier economico nazionale a suo fratello. La Reuters lo afferma con documenti e testimonianze che spiegano come il secondo al-Sharaa abbia costruito centinaia di nuove società mentre sceglieva una linea morbida con i gerarchi dell’epoca Assad che hanno letteralmente svuotato le casse dello Stato. Sono tutti liberi in cambio di parte, chissà quanto rilevante o irrilevante, del bottino accumulato in decenni, girato in buona parte alle nuove società. Ora tutti costoro opererebbero in tranquillità a Damasco.

Si è poi aggiunta alla liste dei dolori la denuncia di Amnesty International: durante la carneficina di marzo alcune decine di donne e ragazze alawuite sarebbero state sequestrate, afferma Amnesty, che chiede al governo di indagare e spiegare.

Al-Sharaa può consolarsi con i perduranti buoni rapporti con gli Stati Uniti, confermati da operazioni congiunte anti-Isis. Ma è il fronte interno ad essere pericolante. Forse è per questo che dagli organi governativi competenti si è deciso di annunciare per settembre le prime elezioni parlamentari. Annunciarle all’improvviso senza un vasto confronto nazionale è parso un voler spostare l’attenzione politica dalle questioni scottanti. Ma in Siria, in questa Siria, è impensabile votare. È impensabile organizzare il voto, farlo svolgere regolarmente, ed è impensabile votare in assenza di una legge sui partiti politici. Lo ammette anche il decreto che indice le elezioni. Così si è pensato di varare un meccanismo sorprendente: i deputati saranno 210, 70 di nomina presidenziale e 140 eletti sui territori. Chiunque potrà candidarsi, scrivendo alla commissione elettorale la quale sceglierà 50 di questi candidati nominandoli membri di una sottocommissione incaricata di selezionare tra di essi il neo-deputato. Ad esempio: ad Aleppo sono previsti 20 deputati, saranno scelti da 20 sotto commissioni, costituite dalla commissione elettorale scegliendone i 50 membri tra un ventesimo per ciascuna di essa di tutti coloro che si sono candidati da quella città. Le venti sotto commissioni così costituite sceglieranno dunque i venti deputati di Aleppo. La disposizione dice che saranno garantiti rappresentanti di tutti i gruppi etnici e religiosi, ma non dice quanti né quanti per ciascuna di esse. Solo per le donne la quota è certa, il 20% dei prescelti. E questa sembra la notizia migliore. Ma c’è un risvolto che sorprende: i siriani deportati dal loro Paese da Bashar al-Assad e che dovrebbero stare a cuore a chi lo ha rovesciato sembrano esclusi dal voto. E siccome per stabilire il numero di eletti per ogni città siriana si fa riferimento al censimento del 2011 le zone dove molti siriani sono stati deportati e vivono da anni sembrano penalizzate e non è chiaro dove i deportati potranno candidarsi: nella città dove vivevano o in quella dove si trovano da anni?

I guai di Al-Sharaa, che indice curiose elezioni in Siria. La riflessione di Cristiano

Annunciare le elezioni all’improvviso senza un vasto confronto nazionale è parso un voler spostare l’attenzione politica dalle questioni scottanti. Ma in Siria, in questa Siria, è impensabile votare. È impensabile organizzare il voto, farlo svolgere regolarmente, ed è impensabile votare in assenza di una legge sui partiti politici

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