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Venticinque effettivi, funzioni di pianificazione ma senza compiti esecutivi. Questi i caratteri principali della Capacità militare di pianificazione e condotta (Mpcc) dell’Unione europea, il primo abbozzo di un quartier generale comune adottato oggi dal Consiglio dell’Ue. Si tratta di “una decisione operativa estremamente importante per rafforzare la difesa europea”, ha spiegato l’Alto rappresentante Federica Mogherini. Sicuramente, è il primo passo concreto di un progetto che ha origine dalla Strategia globale, presentata quasi un anno fa proprio dall’ex ministro degli Esteri italiano. “Contribuirà a rendere più efficaci le missioni europee senza compiti esecutivi e a migliorare la formazione dei soldati dei paesi partner, al fine di garantire pace e sicurezza”, ha aggiunto la Mogherini.

LA NUOVA CAPACITÀ “MILITARE”

L’adozione dell’Mpcc arriva dopo il via libera del Consiglio affari esteri (Cae) di inizio marzo, e rappresenta la prima istituzione di un quartier generale europeo, per quanto si sia cercato in tutti i modi di evitare un nome che continua a spaventare i Paesi membri più titubanti. Sarà difatti un quartier generale depotenziato, e non solo nel nome, poiché privo di compiti esecutivi e con un personale di soli 25 effettivi. Inserita all’interno dello Stato maggiore dell’Ue, a sua volta parte del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), la nuova capacità “sarà la struttura di comando e controllo a livello strategico militare, fissa e situata fuori dalla zona delle operazioni incaricata della pianificazione e della condotta operative delle missioni senza compiti esecutivi, come pure di costituire, proiettare, sostenere e ripristinare le forze dell’Unione europea”, spiega la nota di Bruxelles. Attualmente, le missioni di competenza della neonata Mpcc sono tre: la missione di formazione Ue in Somalia (Eutm Somalia) e le due Eutm in Repubblica Centrafricana e Mali. Diretta dal direttore dello Stato maggiore, agirà sotto il controllo politico e la direzione strategica del Comitato politico e di sicurezza (Cps), e avrà responsabilità connesse allo spiegamento e al ripristino delle missioni nonché a tutte le attività di bilancio, audit e comunicazione.

IL REFLECTION PAPER

Solo ieri, insieme a un altro vice presidente della Commissione, Jyrki Katainen, la Mogherini presentava il Reflection paper on the Future of European Defence, finalizzato a definire il percorso, più concettuale che pratico, da seguire per una difesa comune. “I cittadini sono sempre più preoccupati della propria sicurezza e guardano all’Unione in cerca di protezione. Se vogliamo rispettare tali aspettative, la difesa e la sicurezza devono giocare un ruolo più prominente nel futuro del progetto europeo”. Questo il ragionamento alla base dello sforzo teorico spiegato dall’Alto rappresentante e dall’ex primo ministro finlandese.

DALLE MINACCE GLOBALI ALLA DIFESA EUROPEA

L’idea di partenza del Reflection paper, la stessa su cui poggia l’intero progetto di difesa comune, è che “la crescente instabilità nel vicinato europeo, così come le nuove minacce emergenti alla sicurezza derivanti da trend economici, ambientali e tecnologici, presentato sfide importanti alla nostra sicurezza”. Tutto ciò, reso ancora più incerto dalla nuova presidenza americana, richiede una risposta che l’Ue ha predisposto in ciò che la Mogherini aveva già definito “Pacchetto difesa”, composto dall’attuazione della Strategia globale dell’Ue, dal Piano d’azione per la difesa europea (Edap) della Commissione, e dalla cooperazione con la Nato. La nuova Mpcc, si inserisce nel primo obiettivo, quale strumento di attuazione della Global strategy, accompagnata dalla cooperazione strutturata permanente (Pesco), ancora in fase di sviluppo, e dalla Revisione coordinata annuale sulla difesa (Card) già approvata a marzo e in fase di definizione seppur sempre su base volontaria.

ALCUNI DATI

La strada è ancora lunga e tortuosa. Attualmente, come riporta lo stesso Reflection paper, l’Ue a 28 spende 227 miliardi di euro per la difesa, pari all’1,34% del proprio Pil, rispetto ai 545 degli Stati Uniti che raggiungono quota 3,3% del Pil. Ciò che però stupisce maggiormente, e che rappresenta forse il maggiore ostacolo all’integrazione del settore, è la differenziazione tra i Paesi europei. Negli Stati Uniti si contano 30 diversi sistemi d’arma, numero che arriva a 178 considerando l’Ue. “Oggi – spiega il documento invitando alla creazione di economie di scala comuni ed efficienti – i mercati della difesa sono estremamente frammentati, creando una mancanza di interoperabilità e un costo opportunità di almeno 30 miliardi di euro”. Eppure, non si può non considerare che dietro ogni sistema d’arma ci sono contratti, linee di produzione, posti di lavoro e ricadute sui sistemi produttivi che non è facile eliminare senza conseguenze. Per la Commissione, comunque, l’integrazione dei comparti nazionali è un passo necessario: “Se l’Europa vuole competere nel mondo, avrà bisogno di mettere in comune e integrare le proprie migliori capacità tecnologiche e industriali”.

TRA MERKEL E L’INCOGNITA MACRON

Il Reflection paper della Commissione descrive dunque tre scenari in cui il progetto della Mogherini può tradursi, a seconda del grado di integrazione che si verificherà: semplice cooperazione, condivisione di compiti, e difesa comune. Tre scenari non escludenti, ma che piuttosto descrivono una road map, un percorso che Bruxelles ha già deciso di seguire e che l’Italia ha abbracciato da tempo, trovando nella Francia e nella Germania due partner importanti. Le recenti insofferenze palesate dal cancelliere tedesco Angela Merkel nei confronti del nuovo inquilino della Casa Biana, all’indomani del G7 di Taormina e della decisione di Donald Trump di abbandonare gli accordi di Parigi sul clima, potrebbero aver dato una spinta ancora maggiore a quanto detto, considerando che proprio Berlino è sempre stata tra i maggiori sponsor della difesa comune. Con Londra fuori dai giochi, resta però l’incognita di Parigi. Il nuovo presidente Emmanuel Macron è stato accolto con gioia dai pro-european di tutto il continente. Eppure, è ancora presto per capire se ci sarà o meno un cambio di rotta decisivo rispetto all’amministrazione Hollande, a favore di una vera integrazione e non di semplice cooperazione. Ciò appare per ora piuttosto difficile, vista soprattutto la tradizionale ritrosia francese a cedere pezzi importanti della propria sovranità.

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