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In Medioriente sono custodite quasi un terzo delle riserve di petrolio mondiali. Il Qatar gestisce in collaborazione con l’Iran il South Pars, grande giacimento nelle acque del Golfo Persico che racchiude oltre 14 miliardi di barili di petrolio. Inoltre, si stima che contenga significative quantità di gas naturale, che rappresentano circa l’8% delle riserve mondiali, e circa 18 miliardi di barili di gas condensato. Da sola Doha è il primo fornitore di Gas naturale liquefatto a livello mondiale che piazza principalmente sui mercati asiatici. Bastano questi pochi dati per capire la potenziale portata sui mercati energetici delle conseguenze dell’interruzione dei rapporti diplomatici di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto con Doha.

Nel giorno in cui si è consumata la spaccatura tra le petromonarchie del Golfo Persico le quotazioni del petrolio si sono impennate anche se i mercati dell’energia non sono finiti nel panico. Merito del boom dello shale americano e degli ultimi anni all’insegna della sovrapproduzione. Adesso bisognerà vedere se reggerà l’accordo in seno all’Opec che sta conducendo una dura battaglia per raffreddare il prezzo del barile attraverso la limitazione della produzione. Nel corso dell’ultimo vertice il cartello dei paesi produttori, affiancato da altri Paesi come la Russia, aveva deciso nove mesi di tagli alla produzione. La riunione si era tenuta a sei mesi di distanza dall’accordo che aveva messo insieme per la prima volta 24 petrostati (quelli del cartello e altri undici) per tagliare di 1,8 milioni di barili (da 34 milioni iniziali) al giorno la produzione. Non dovrebbero essere troppi contrasti tra i Paesi del cartello di Vienna sul tema specifico della gestione dell’oro nero.  Abdulsamad Al-Awadhi ha spiegato a Bloomberg che «Non è la prima volta che i paesi dell’Opec vivono una spaccatura e non sarà l’ultima». Secondo l’analista che è stato anche rappresentante del Kuwait all’interno del gruppo dei produttori «l’Opec è passato attraverso molti conflitti politici e militari tra i suoi membri e questo non ha mai avuto un impatto sul lavoro dell’organizzazione o dei suoi accordi vincolanti».

Diversa la situazione sul mercato del gas. Come detto, il Qatar è il primo fornitore di Gas naturale liquefatto. Anche Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto dipendono dalle esportazioni del gas di Doha. Poche ore dopo l’annuncio della rottura diplomatica gli Emirati Arabi Uniti hanno bloccato tutte le navi cisterna provenienti da e verso il Qatar. Il problema per Doha potrebbe essere rappresentato dal blocco allo strategico terminal per l’esportazione di Fujairah, situato all’esterno dello Stretto di Hormuz. Vero che è possibile pensare a rotte alternative passando per Iran e Oman ma potrebbero verificarsi aumenti dei costi e dei tempi di percorrenza. Infatti, poco dopo l’annuncio le autorità del Qatar si sono affrettate a rassicurare India e Giappone sulla puntualità delle forniture. Potrebbero esserci conseguenze anche per l’Italia: al largo di Rovigo attraccano le navi che trasportano Gnl al terminal Adriatic Lng controllato da Qatar Petroleum (attraverso Qatar Terminal Company) assieme a ExxonMobil Italiana ed Edison. Nonostante la crisi diplomatica è ancora attivo il gasdotto Dolphin che trasporta il gas dal grande giacimento del Qatar, North Field, attraverso una condotta di 364 chilometri che termina presso la centrale elettrica di Taweelah ad Abu Dhabi, per poi arrivare fino al porto di Fujairah e da lì verso l’Oman.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Energy and Strategy Hub

Tutte le conseguenze della crisi nel Golfo sui mercati dell'energia

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