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Con il ritorno di Donald Trump alla guida della Casa Bianca, la politica estera degli Stati Uniti è destinata a cambiare radicalmente rispetto alla linea seguita negli ultimi anni. Durante la campagna elettorale, il magnate repubblicano ha fatto diverse promesse molto generali, senza scendere nei dettagli, ma con una linea guida molto precisa incentrata sul non interventismo e la protezione commerciale.

Per Trump l’America è al primo posto, come da slogan elettorale, e su quest’ottica si spera che imposterà gli affari esteri degli Stati Uniti. E anche se mancano le specifiche, dai suoi commenti in comizi, interviste e comunque nel suo percorso politico dal 2017 al 2021, gli analisti internazionali stanno ricostruendo quella che potrebbe essere la politica estera del governo americano nei prossimi quattro anni.

Mariano Aguirre, ricercatore di Chatham House e consigliere di Rete Latinoamericana di Sicurezza della Fondazione Friedrich Ebert, ha spiegato in un’analisi per la Bbc come l’America latina non è stata una priorità nella campagna di Trump, ma allo stesso tempo la regione propone importanti sfide per il nuovo presidente. Dall’attesissima risposta americana al nuovo mandato di Nicolás Maduro in Venezuela fino all’influenza (sempre più crescente) della Cina in Centroamerica, i dossier del “cortile” degli Usa sono tanti e urgenti.

Come nel 2016, Trump ha fatto della migrazione una questione prioritaria nella campagna elettorale, promettendo “una deportazione massiva di migranti senza documenti appena arriverà alla presidenza, con conseguenze economiche ed umanitarie per il Paese – sostiene Aguirre -. Le sfide legali e logistiche, tuttavia, mettono in dubbio la possibilità di farlo”. Il piano sarebbe arrestare e deportare, ma evitando un clima di paura. L’applicazione della legge però spingerà i migranti illegali a smettere di muoversi nei luoghi pubblici, di portare i figli a scuola e infine finiranno per andare via spontaneamente dal territorio americano. Trump ha anche promesso di chiudere i confini per risolvere il problema della criminalità, che crede essere legata alla migrazione, così come l’aumento dell’uso della droga fentanyl e l’aumento dei prezzi delle abitazioni.

Trump ha anche promesso di sospendere il programma di rifugiati e ripristinare il programma “restare in Messico”, che chiede ai richiedenti asilo di attendere nel proprio Paese l’esito della procedura. Ugualmente, spera di potere chiedere a Paesi terzi di accogliere molti di questi richiedenti asilo. Secondo l’Agenzia Rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) in America latina 23 milioni di persone si sono trasferite forzatamente nel 2023, un milione di persone in più rispetto al 2022. Questi migranti arrivano principalmente dalla Colombia, Venezuela, Haiti, il nord di Centroamerica, Messico e Nicaragua.

Il rapporto con il Messico sarà anche molto importante per la nuova presidenza di Trump. Sebbene durante il primo mandato si sia trovato molto bene con l’ex presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, adesso le relazioni saranno tutte da costruire con la nuova presidente Claudia Sheinbaum.

Trump ha già detto che sarà capace di bombardare i gruppi di narcotrafficanti sul territorio messicano se la sicurezza degli americani lo richiedesse, e ha anticipato che vuole rinegoziare tutto il trattato di libero commercio con il Messico perché considera che nei termini di oggi danneggino gli interessi dei cittadini.

Un altro argomento importante è la posizione degli Stati Uniti sul regime di Nicolás Maduro in Venezuela e il (non) riconoscimento dei risultati elettorali delle presidenziali di luglio.

Durante il primo mandato, Trump ha minacciato di intervenire militarmente in Venezuela, ha imposto sanzioni contro Maduro e il suo entourage e ha riconosciuto formalmente il governo ad interim di Juan Guaidó.

Per Juan Gabriel Tokatlian, analista dell’Università Torcuato di Tella, la nuova linea di Trump sul Venezuela dipenderà dai legami che si stringeranno con Russia e Cina. Relazioni che dipendono più da una base economica e commerciale (e dalle risorse che questi Paesi riescono a estrarre dal Venezuela) che da vere affinità politica.

Xulio Ríos, dell’Osservatorio della Politica Cinese, ha spiegato alla Bbc che per buona parte dei Paesi latinoamericani Pechino “è un socio commerciale di primo livello, che investe attivamente in diversi settori dell’industria latino-americana. Lo sviluppo di legami militari integra la sua ampia strategia”. E questo succederà indubbiamente sotto gli occhi degli Stati Uniti e il suo nuovo presidente.

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