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(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

L’odio acceca anche in politica, e non solo nei rapporti personali. Lo hanno dimostrato la sinistra e la destra, insieme, nelle ultime ore in Sicilia, dove in odio appunto ad Angelino Alfano e a quel che potrà rimanere del suo piccolo partito di centro nato tre anni fa dalla rottura con Silvio Berlusconi, i grillini rischiano davvero di vincere le elezioni regionali del 5 novembre. Rischiano, perché una loro vittoria sarebbe destinata a riprodurre in quella regione lo spettacolo non certo esaltante che il movimento di Beppe Grillo sta dando nell’amministrazione di Roma. E -cosa ancora più clamorosa- potrebbero replicare il successo a livello nazionale dopo qualche mese, quando verranno rinnovate le Camere non si sa ancora con quale legge, visto che si dovrà giocare prima o dopo la vera partita di fine legislatura. Che non è quella del bilancio, o della legge finanziaria del 2018, ma dell’armonizzazione reclamata dal capo dello Stato fra le due leggi in vigore prodotte dai tagli apportati dalla Corte Costituzionale ai testi approvati a suo tempo dal Parlamento.

L’ipotesi coltivata, pur tra le nebbie e le contraddizioni di mezze interviste e sortite, dal sindaco di Palermo Leoluca Orlando e dall’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia di associare o allargare il centrosinistra siciliano ad Alfano, che pure a livello nazionale fa ancora parte di una maggioranza di governo in cui ancora convivono a modo loro il Pd di Matteo Renzi (in foto) e l’anti-Pd di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, ha letteralmente frantumato quello schieramento. Che ha ceduto alla tentazione del suicidio -il solito a sinistra- di correre alle elezioni con ben tre candidati al cosiddetto governatorato dell’isola.

La battaglia, quindi, sarà alla fine -salvo sorprese, sempre possibili nella terra dei pupi- fra la destra e i grillini, a distanza fra Silvio Berlusconi e Beppe Grillo. Ma Berlusconi, cedendo pure lui all’odio dei suoi, e forse anche proprio, nei riguardi di quello stesso Alfano che lui aveva scambiato negli anni scorsi per uno statista in erba improvvisandolo segretario dell’allora Pdl, ha subìto il candidato impostogli dalla destra post-missina e post-finiana di Giorgia Meloni e dalla Lega post-padana di Matteo Salvini. Si tratta di quel Nello Musumeci già sconfitto in altre due corse corse alla regione, proprio per questo originariamente scartato dal diffidente e scaramantico uomo di Arcore. Che ha però pensato di poterlo alla fine rigenerare affiancandogli come vice un avvocato non nuovo alla politica isolana ma verniciatosi grillinamente con l’invenzione di un movimento, lista e quant’altro di “Indignati”, rigorosamente con la maiuscola.

Eppure proprio Berlusconi, in una delle sue partecipazioni ormai più che ventennali a quello che pure chiama sprezzantemente “il teatrino della politica”, con l’esperienza che ha di venditore ha avvertito che il pubblico alla fine preferisce l’originale all’imitazione. E il “suo” avvocato Gaetano Armao, che fa casualmente rima col famoso Cacao Meravigliao degli spettacoli televisivi di Renzo Arbore, somiglia francamente più all’imitazione che all’originale della indignazione grillina.

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