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Non mancano in generale i motivi per sostenere l’ingresso di stranieri in Italia: ci sarebbero per esempio buone ragioni per auspicare un flusso quanto più possibile controllato di ingressi – specie qualificati – nel nostro Paese; rimane poi fermo il dovere di accoglienza per chi fugge da guerre e persecuzioni. Eppure, da qualche anno, specialmente nell’intellighenzia cattolica e di sinistra, s’avanza una retorica pro-immigrazione davvero sui generis: apparentemente razionale, spudoratamente utilitaristica, e concretamente spietata se analizzata calandosi nei panni di un potenziale immigrato.

Tale immigrato potrebbe un giorno leggere un giornale o assistere a un talk show televisivo in Italia e sentirsi dire nell’ordine le seguenti cose.

1. L’immigrato scoprirà che qualunque politico che proponesse di aiutare la sua famiglia rimasta nel Paese di origine – con lo slogan “aiutiamoli a casa loro” e i suoi derivati – sarà presto bollato come “fascista” o “razzista” dalla sinistra immigrazionista (cit. Roberto Saviano).

2. Lo stesso malcapitato scoprirà che lui e altre migliaia di immigrati come lui devono poter entrare in Italia – almeno secondo alcuni sostenitori dei flussi in ingresso – innanzitutto perché saranno chiamati a fare tutti quei mestieri che “agli italiani non piacciono” (cit. ricerca Inps).

3. Molti fautori dell’accoglienza hanno anche già in mente il luogo in cui l’immigrato dovrà lavorare, sempre per fare quei mestieri che agli italiani non piacciono: poco importa che i grandi centri urbani offrano maggiori possibilità di formazione e di lavoro, perché lo Stato ha deciso (sulla carta) che ogni 1.000 abitanti ci dovranno essere 3 migranti, è il tanto incensato sistema Sprar di accoglienza diffusa, e dunque migranti e richiedenti asilo dovranno (sempre sulla carta) accettare di vivere in piccoli paesi e città da cui molti degli stessi italiani emigrano.

4. E come se all’immigrato non bastasse sentirsi dire che dovrà fare un lavoro che agli italiani non piace, e che dovrà svolgerlo in un centro urbano in corso di spopolamento, ecco allora che la sinistra istituzionale gli spiegherà la sua vera missione per l’Italia: un numero crescente di immigrati – è la tesi più ricorrente, dalla Fondazione Moressa a Emma Bonino – serve al nostro Paese per pagare le pensioni degli italiani. Il tutto sorvolando sul fatto che il nostro sistema pensionistico rischia di essere insostenibile, visto che già oggi i nati nel 1980 dovranno andare in pensione a 73 anni.

5. Dulcis in fundo, se l’immigrato non fosse contento di fare il lavoro che un italiano non vuole fare, se non apprezzasse l’idea di dover vivere in un centro urbano deciso in maniera casuale dal ministero dell’Interno o da chissà chi altro, e se non fosse riconoscente nei confronti delle istituzioni italiane che lo accolgono precipuamente come contribuente di un sistema previdenziale semi fallito, ecco che il presidente dell’Inps, Tito Boeri, gli ricorderà pure che la sua “speranza di vita più breve” potrebbe essere un toccasana per le casse di una previdenza già malconcia: “I nostri dati ci dicono che gli immigrati oggi in Italia hanno una speranza di vita più breve di quella utilizzata per definire ammontare e durata delle pensioni e questo significa che, anche nell’ambito del metodo contributivo, pagano molto di più di quanto ricevano tenendo conto di versamenti e prestazioni durante l’intero arco della vita”.

Cotanta retorica ha da una parte l’obiettivo di camuffare con argomenti “pragmatici” delle preferenze quasi irrazionali per un’accoglienza indiscriminata, dall’altra invece tradisce un arrocco delle nostre classi dirigenti attorno a un sistema di welfare e prebende pubbliche che l’autunno demografico italiano sta mettendo in crisi. Il risultato è un messaggio nel complesso spietato e al contempo fuorviante che alla lunga non potrà non influenzare anche i potenziali immigrati che guardassero all’Italia come meta per una nuova vita: in maniera implicita il nostro Paese finirà per attirare soltanto coloro che non hanno nulla da perdere e che sono disposti ad accettare – fosse anche solo a livello retorico – tutto il pacchetto simil-vessatorio di cui sopra. Chiunque invece sarà animato da prospettive di emancipazione e di arricchimento umano e professionale, chiunque avrà una qualche qualifica in più, tenterà dirigersi verso altri lidi, magari verso il Nord Europa o verso i paesi anglosassoni di antica immigrazione. Fin dalla retorica utilizzata dalle nostre classi dirigenti, insomma, l’Italia si predispone a subire l’immigrazione invece che a governarla. Con esiti mediamente negativi tanto per la società che accoglie quanto per i nuovi arrivati.

Roberto Saviano

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