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“In ogni conflitto le manovre regolari portano allo scontro e quelle imprevedibili alla vittoria”, diceva Sūnzǐ, generale e stratega cinese del V secolo a.C. Nell’Europa odierna invece è Emmanuel Macron che dimostra e applica questa massima: con il fragile incontro di Parigi con il Presidente Sarraj e il generale Haftar per la soluzione libica. Una mossa “lampo” che ha lasciato spiazzati molti attori internazionali, in primis l’Italia, uno dei maggiori protagonisti nell’area, che ha dovuto reagire non solo con un sorriso a denti stretti all’iniziativa gollista, ma anche con un rumoroso silenzio.

L’Italia, che ha sempre cercato di essere protagonista in Libia in campo economico e diplomatico, si è ritrovata con una foto ricordo che di per sé non ha una valenza effettiva (vista la mancata firma dell’intesa delle due autorità governative libiche) ma sicuramente un rilevante peso politico nell’era del nuovo imperialismo nel continente africano. Foto ricevuta mentre tutte le feluche italiane, riunite insieme a Roma, provavano a dare prova di unità e volontà strategica di conseguire soft power ambizioso.

Il nuovo colonialismo francese sembra essere anacronistico, ma è stata accantonata soltanto la scenografia e la dimostrazione di dominio; è cambiata la narrativa, ma gli effetti sono comunque evidenti e gli esiti tutt’altro che scontati. Il colonialismo in salsa globalista è più sottile, ma anche condiviso, visti gli interessi molteplici: dall’intesa afro-cinese in campo economico e militare, al nuovo piano Marshall in veste tedesca e ancora al nuovo ruolo francese e a quello statunitense nel continente.

Una serie di passaggi che hanno mutato la genetica della globalizzazione in una forma di imperialismo “politico” velato dagli interessi economici e di stabilizzazione. Una sorta di “Santa Alleanza 2.0” dove i regnanti, riuniti a Bruxelles, discutono unitamente e congiuntamente per lo sviluppo di un clima di serenità e pace anche se in realtà nel cuore di ognuno domina una forza di revanscismo nazionale inespresso nel continente europeo, ma del tutto visibile al di là del mediterraneo. Non credo che cambiare campo di battaglia ed esercito, mentre i nemici sono sempre gli stessi, sia la strada giusta non dico per creare una pace duratura ma almeno per iniziare a risolvere problemi cogenti.

Un’ipocrisia quindi del Vecchio Continente che rischia di portare il progetto dell’integrazione europea ad una sceneggiatura perfetta come se fosse una sorta di Repubblica di Weimar allargata, mentre nel resto del mondo è in corso una campagna di influenza per allineare nuovi interessi e dare possibilità di emergere a nuovi mercati globali, un caso per tutti l’Angola con la sua capitale Luanda.

Il caso della Libia rappresenta ancora una volta uno scacchiere in salsa “Game of Thrones” in cui la diplomazia sta mettendo in mostra il meglio di sé per nascondere i veti contrapposti all’unità nazionale: da un lato le influenze di Russia ed Emirati Arabi, dall’altra Turchia e Qatar. Una battaglia all’insegna dell’ingenuità intellettuale europea che rischia di dare una visione distorta dei fatti e degli scenari.

L’impero macroniano o il reich merkeliano sono manifestazioni di culture forti che hanno di per sé immaginari collettivi molto persuasivi, ma rappresentano non una nuova colonizzazione bensì la tutela dei propri interessi nella partita della supremazia in Medio Oriente e in Africa.

Si comprende bene quindi che la sceneggiatura libica non è solo un gioco economico o politico di “casa Europa”, bensì una partita che può delegittimare una serie di forze schierate che oggi si trovano anch’esse alla ricerca di nuovi scenari di gioco per poter esprimere la loro forza dominante e il loro espansionismo culturale al di fuori dei contesti continentali.

La Libia, le mire di Macron e gli interessi dell'Italia

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