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Steve Bannon, capo stratega della Casa Bianca, una delle poche teste nell’amministrazione Trump che è sopravvissuta alla ghigliottina del presidente in questi mesi, ha intenzione di regolare Facebook e Google come fossero dei servizi pubblici. È quanto risulta dalle indiscrezioni raccolte da The Intercept, secondo una conversazione che tre fonti vicine alla Casa Bianca, rimaste anonime temendo ripercussioni, avrebbero avuto col Chief Strategist di Trump.

Secondo Bannon, Facebook e Google sono divenute due realtà tanto grandi da poter essere regolate come un monopolio naturale. Per quanto l’idea sia fumo negli occhi per il Ceo di Facebook Mark Zuckerberg e il Ceo indiano di Google Sundar Pichai, si tratta comunque di un dibattito in corso da diverso tempo, che vede l’editoria in tensione contro il “duopolio digitale” dei due giganti. La News Media Alliance (NMA), che riunisce più di 2000 testate americane, ha chiesto ufficialmente al Congresso di permettere alle agenzie pubblicitarie di negoziare collettivamente con Facebook e Google, che oggi “dominano il traffico di notizie online”.

Ed il nodo spinoso dietro all’idea di Bannon è proprio quello della ricerca online e delle pubblicità. “Insieme, possiedono più del 70% dei 73 miliardi di dollari spesi ogni anno in pubblicità digitale” ha commentato sul Wall Street Journal David Charen, CEO della NMA. Secondo Charen “quasi l’80% di tutto il traffico di rinvio online arriva da Google e Facebook. Questo è un business che frutta un profitto immenso”.

Insomma, c’è un punto su cui convergono esperti di tecnologia trumpiani e non: i due giganti della Silicon Valley esercitano qualcosa di non lontano da un monopolio sulla pubblicità online, sbaragliando la concorrenza, e per questo è necessario porre delle regole. Non si tratterebbe di porre sotto il controllo del governo le due mega aziende, quanto semmai di regolare funzioni isolate, come l’algoritmo di ricerca.

Ma ci sono anche scrittori di punta che tentano di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla “vera” realtà dei giganti come Google e Facebook, sempre meno “social networks”, e sempre più “social utilities”. Johnatan Taplin, autore del libro “Move fast, break things” contro il presunto monopolio di Facebook, Amazon e Google, crede che queste compagnie siano cresciute troppo. Nel suo libro fornisce qualche numero, riportati da Breibart.com: Alphabet Inc, la holding controllata da Google, riceve circa il 77% di tutti i profitti della pubblicità di ricerca negli Stati Uniti. Amazon controlla il 70% delle vendite di e-books negli Usa, mentre Facebook e Google insieme dominano il 56% di un mercato ultra-redditizio, quello della pubblicità sui cellulari.

A dimostrazione che la “pazza idea” di Bannon non è poi così pazza, è sufficiente guardare alle recenti scaramucce che Google ha avuto con i regolatori di Bruxelles. A fine giugno la Commissione Europea aveva rifilato all’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin una multa salatissima: 2,7 miliardi di dollari, una cifra senza precedenti, per aver violato le regole dell’antitrust sullo shopping online. “Google ha abusato del suo dominio come motore di ricerca fornendo vantaggi illegali a un altro prodotto Google, il suo servizio di comparazione nello shopping” chiosava un mese fa la Commissaria Margrethe Vestager.

Che adesso anche la Casa Bianca stia preparando un pacchetto di regolamenti per limitare il dominio pubblicitario di Google e Facebook è tutto da vedere. Anche perché una mossa del genere risulterebbe in una sconfessione delle mosse fatte dalla nuova amministrazione per smaltire la montagna di regolamentazione lasciata in eredità da Obama. Lo scorso 3 aprile Trump aveva firmato un atto per cancellare le regole sulla privacy per la banda larga, facendo evaporare un pacchetto di regolamenti approvato in ottobre dalla Commissione federale per le comunicazioni, che richiedeva ai fornitori di servizi internet di proteggere i dati personali più di quanto non facessero Google o Facebook. Per adesso dunque nessuna comunicazione ufficiale da Washington sulla proposta di Bannon. Tutto tace anche dalla liberal Silicon Valley di Mark Zuckerberg, a cui né il nuovo inquilino della Casa Bianca, né tantomeno il suo stratega ultra-conservatore sono mai andati a genio.

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