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Grazie anche al contributo non certo disinteressato del terrorismo islamista, e chissà poi se soltanto islamista, le elezioni francesi  sono diventate l’epicentro d’Europa. Più ancora di quanto l’anno scorso non fosse avvenuto col referendum inglese, sfociato in quella che tutti ora chiamiamo Brexit.

I fatti, solo i fatti, come sempre del resto, potranno dire se tanta attenzione attorno ai seggi elettorali di Francia sia giustificata. E se non scopriremo invece alla fine che, salvo l’elezione di Marine Le Pen, una campionessa della destra sovranista e un po’ anche razzista nata quasi a dispetto nel 1968, l’anno della contestazione destinata a travolgere nel 1969 anche uno come il presidente e generale Charles De Gaulle;  salvo, dicevo, l’elezione eventuale di Marine Le Pen, tutto rimarrà come prima in Francia, e dintorni.

I fatti francesi hanno oscurato in Italia anche l’ultima e decisiva settimana delle primarie del Pd, per ravvivare le quali Eugenio Scalfari ha tinto di azzurro quanto più poteva Matteo Renzi. Che, pur avendolo deluso con le dimissioni da presidente del Consiglio dopo la scoppola referendaria del 4 dicembre scorso, ma anche con qualche ambiguità sul tema di un suo ritorno a Palazzo Chigi, sconsigliatogli per diverse ragioni politiche, e forse temperamentali, è rimasto nel cuore del fondatore di Repubblica. Se ne faranno una ragione fuori dal Pd i vari Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, andati via perché non sopportavano più Renzi neppure fisicamente, e dentro i concorrenti alla segreteria, compreso il guardasigilli Andrea Orlando. Col quale si è schierato alla fine anche pubblicamente Romano Prodi, che pure è un altro rimasto nel cuore di Scalfari, con Mario Draghi e Walter Veltroni, come gli europeisti più convinti. E l’europeismo è considerato da Scalfari come il nuovo discrimine politico e persino ideologico. Come una volta  era con la destra e la sinistra.

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Renzi, che pure non sarà curiosamente votato da lui nelle primarie per non rendergli la vittoria tanto grande da fargli perdere la testa, si è guadagnato la fiducia di un uomo pur esigente e diffidente come Scalfari con un corteggiamento lungo e paziente, trasformando i loro incontri e le loro telefonate in lezioni dove naturalmente lui è l’allievo e l’altro il maestro, con tanto di libri da leggere fra un appuntamento e l’altro e su cui poi riferire e lasciarsi interrogare. Libri che spaziano dichiaratamente, secondo le rivelazioni dello stesso Scalfari, dalla storia, antica e recente, alla filosofia. Ma credo anche alla psicologia.

Il punto decisivo alla cucitura dei loro rapporti credo che Renzi l’abbia dato con la proposta delle primarie e poi dell’elezione diretta del presidente della Commissione Europea, sottraendone quindi la scelta ai negoziati fra i governi dei paesi dell’Unione e ai relativi condizionamenti. Un tema, questo, che mi sembra obiettivamente lontano dalla sensibilità, per esempio, di un Michele Emiliano, il concorrente di Renzi alla segreteria del Pd tutto preso adesso più dalle decine di alberi d’ulivo pugliesi da espiantare e rimettere al loro posto dopo che vi scorreranno sotto i tubi del gasdotto che credo si chiami Tap. Ma neppure il ministro della Giustizia mi sembra tanto preso dal problema dell’elezione diretta del presidente europeo, interessandogli di più le prospettive di un governo di centrosinistra, senza o con trattino, abbastanza “largo”, come dice anche Giuliano Pisapia, perché possa cadere solo per lo starnuto di un ministro o di un segretario dei tanti partiti e partitini della coalizione. Accadde già nel 1998 e nel 2008.

Un simile scenario prescinde naturalmente dall’ipotesi di un governo grillino “di minoranza e combattimento”, alla rovescia di quello perseguito penosamente nel 2013 dall’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani puntando sulla fiducia iniziale di Grillo, col quale poi lui avrebbe negoziato giorno per giorno, ora per ora, qualsiasi provvedimento, dichiarazione o semplice accesso al gabinetto per i bisogni corporali. Non se ne fece per fortuna nulla grazie allo stesso Grillo e soprattutto all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Che da quel momento cominciò ad usare il bastone un po’ per aiutarsi a camminare, alla sua età, ma un po’ forse anche per allontanare malintenzionati.

Questa volta i grillini potrebbero chiedere aiuto, per un loro governo minoritario e combattivo, ai leghisti di Matteo Salvini e ai fratelli di Giorgia Meloni grazie alle affinità sul terreno non certamente secondario dell’immigrazione, specie se dovesse prendere corpo l’ipotesi su cui sta indagando la Procura di Catania.  Dove sono incuriositi, diciamo così, dalle navi di facoltose organizzazioni non governative che si spingono sino alle acque libiche per soccorrere e trasportare in Italia, a chiamata, migranti imbarcati dai trafficanti su gommoni fatiscenti.

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Sì, lo so. C’è anche la prospettiva di un ritorno vittorioso di quello che fu il centrodestra, accarezzata dal signore degli agnelli, come Silvio Berlusconi viene chiamato da quando ne ha salvati cinque dalla strage stagionale di Pasqua e li allatta personalmente sui suoi prati di Arcore. Ma permettetemi di non crederci perché vedo quell’area ancora più confusa e pasticciata della sinistra, con un intreccio rovinoso di rivalità personali, rancori, ambizioni e persino frustrazioni.

Ho invidiato la capacità che hanno appena avuto il direttore di Formiche.net Michele Arnese e Andrea Picardi di esplorare le zone, chiamiamole così, di confine del vecchio centrodestra costituite dai centristi, letteralmente immolatisi nel mantenimento in vita di questa diciassettesima legislatura.

Arnese e Picardi hanno raccolto nel loro salvagente mediatico – Berlusconi, Salvini e Meloni a parte, naturalmente – Angelino Alfano, Pierferdinando Casini, Enrico Zanetti, Flavio Tosi, Stefano Parisi, Alberto Bombassei, Giovanni Monchiero, Gabriele Albertini, Lorenzo Cesa, Raffaele Fitto, Gaetano Quagliariello e Denis Verdini. Hanno inoltre sfiorato il ministro Carlo Calenda, che Renzi teme sia ormai più di là che di qua. E non sono caduti nella trappola della Santa, intesa come Daniela Santanchè, che ha annunciato la nascita di una sua associazione – Noi repubblicani – per potere contribuire non so se più alla composizione o scomposizione dell’area di centrodestra.

Ma che fine ha fatto Corrado Passera? Ne ho perse personalmente le tracce, per cui comprendo e condivido il silenzio riservatogli degli ottimi Arnese e Picardi.

Tutte le democratiche baruffe tra Renzi, Orlando ed Emiliano alle primarie Pd

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