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Molti hanno criticato la strategia delle bombe e delle cannoniere inaugurata recentemente dall’amministrazione Trump, indicandola come sintomo di assenza di una chiara visione geopolitica, cioè imputandola di essere una non-strategia. Alcuni, in particolare, hanno rilevato la presa di potere dei militari nello staff di Trump e da questo fatto derivano una compressione del metodo diplomatico nella politica estera statunitense e il timore di azioni «muscoli senza cervello». Altri esprimono il medesimo timore in altri modi, enfatizzando l’ipotesi che Trump abbia voluto sovrastare con uno spettacolo «bum bum» il rumore di alcuni fallimenti interni.

Da un lato, quest’ultima ipotesi potrebbe avere base concreta. Dall’altro, tali critiche non considerano che il pensiero strategico all’interno dell’amministrazione si sta strutturando verso una direzione precisa in senso continuista: il mantenimento dell’ingaggio statunitense negli affari globali. In tale ottica, la priorità degli strateghi americani è quella di ripristinare il potere di dissuasione proprio per poi potere lasciare alla diplomazia il compito di generare compromessi. Senza il potere di dissuasione, infatti, non è possibile esercitare l’azione diplomatica. Forse è meglio dire che senza un fattore di potenza alle spalle non è possibile ottenere accordi vantaggiosi.

Per esempio, la Grande strategia tedesca non si basa più sul potere delle armi, ma su quello del denaro: garantisce contratti all’industria nazionale offrendo in cambio investimenti, anche creando via diplomazia economica una dipendenza politica della nazione ricevente da Berlino, situazione che poi moltiplica il potere tedesco. La Grande strategia Usa ha obiettivi di mantenimento della leadership globale, e del potere di signoraggio del dollaro, con controparti che la sfidano e interlocutori che devono scegliere dove stare, valutando di chi è più forte.

Tale visione geopolitica, pur dopo sbandamenti, è molto chiara. Così come è chiaro che Washington deve mostrare, prima, forza e determinazione sia ai competitori sia agli alleati, per poi poter instaurare con loro relazioni di confine, cioè di equilibrio tra potenze, o collaborazione strategica, considerando che Obama ha ridotto a zero la credibilità dissuasiva dell’America. E questo è esattamente ciò che lo staff di Trump sta cercando di fare. Da un lato, ciò in effetti aumenta un po’ la probabilità di gravi incidenti bellici. Ma alza di più la probabilità di un ordine mondiale presidiato da un guardiano credibile, configurazione necessaria per la stabilità futura dei mercati.

trump, dollari

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