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Le banche popolari continuano a far discutere la politica e in particolare il Pd. A far da detonare alle nuove polemiche è stato l’ex premier Matteo Renzi con una sorta di pagelline a sorpresa sulle banche popolari. Alle pagelline, sotto forma di un intervento sul Sole 24 Ore, a rispondere sono stati un politico e un banchiere: rispettivamente l’economista e deputato del Pd, Francesco Boccia, e il segretario generale dell’Associazione che riunisce le banche popolare, Giuseppe De Lucia Lumeno. Dopo aver analizzato e dato conto in maniera dettagliata dell’intervento di Renzi, ecco in sintesi le analisi di Boccia e De Lucia ospitate negli scorsi giorni dal quotidiano economico-finanziario controllato da Confindustria.

Le sofferenze? 200 miliardi  e non solo i 20 che valuta l’ex premier
“Matteo Renzi con il suo intervento sulle colonne del Sole ha riaperto il dibattito sulla crisi di una parte del sistema bancario italiano” ha scritto l’economista Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio della Camera. Boccia contesta Renzi su tutta la linea. “Non è colpa del Governo Renzi se alla fine della lunga recessione nel 2008 le sofferenze bancarie sono passate da 40 miliardi di euro ai 200 del 2015; era però dovere del Governo Renzi comprendere all’inizio del 2014 che sarebbe stato necessario prima smaltire l’imponente mole di Non-performing loan, poi far consolidare il sistema bancario italiano e solo successivamente intervenire con le riforme delle popolari e delle bcc”. Valutare i 20 miliardi di sofferenze delle prime dieci popolari, anziché i 200 complessivi è miope, secondo Boccia. Che poi va giù pensate sull’ex premier: “Lo slogan con cui nel febbraio 2015 il suo Governo presentò la riforma al Paese fu: «Avrete più credito e meno banchieri». Forse qualche banchiere in meno c’è (ma a causa di vicende giudiziarie, come nel caso delle banche venete), ma dalla riforma delle popolari di maggior credito e di investitori internazionali non si è vista nemmeno l’ombra. Con un’aggravante: l’incomprensibile soglia degli 8 miliardi di attivo ha determinato un blocco alle aggregazioni per tutte le popolari sotto quella soglia; un capolavoro al contrario. Tant’è che la domanda sorge spontanea: la soglia degli 8 miliardi che determina la trasformazione obbligatoria delle popolari in Spa è stata concepita pensando alle prime dieci o all’intero sistema?”.

Renzi: interventi di urgenza, senza strategia
Chiedere oggi la Commissione d’inchiesta? Una giravolta. E le banche regionali (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti) salvate dal fondo di risoluzione, non dovrebbero rappresentare un motivo di vanto. “La politica aveva il dovere di intervenire per tempo capendo gli effetti della crisi. Non era responsabilità nostra o di Renzi fino alla scorsa legislatura perché eravamo di fatto all’opposizione, ma dall’inizio del 2013 sì, avendo governato con tre esecutivi. Ecco perché oggi abbiamo il dovere di capire dove abbiamo sbagliato anziché autocelebrarci”. E l’errore secondo Boccia è stato di agire “affrontando le emergenze appena esplodevano”. Senza una reale strategia.

Le difficoltà di bilancio non solo per le Popolari
Ci va giù pensante anche Giuseppe De Lucia Lumeno, il segretario generale dell’Associazione fra le banche Popolari che, sempre dalle colonne del Sole 24 Ore prova a mettere le cose in chiaro sul credito. Specificando che “le difficoltà di bilancio non sono certo una caratteristica precipua delle Banche popolari, ma di tutto il sistema bancario italiano” e dunque sono “da ascrivere non alla forma giuridica di Spa o di cooperativa, ma a oltre dieci anni di crisi economica che ha prostrato in modo impressionante il nostro Paese”. Inevitabile che a soffrire di più siano state “le banche a vocazione locale che, come le Banche popolari, hanno servito e servono i propri territori, provati duramente dalla recessione”.

Sistema mai riformato per venti anni? Falso
De Lucia Lumeno chiede che sia riconosciuto alle Popolari il merito di aver supportato territori e aziende ed essersi prese in carico le quattro banche risolte a novembre 2015. E si scaglia contro Renzi che aveva sostenuto di essere stato l’unico fautore di una riforma in un settore che attendeva da un decennio: citando prima la legge del 1992 che consentì la quotazione delle Popolari e fu realizzata da Carlo Azeglio Ciampi con Mario Draghi Direttore Generale del Tesoro. E il governo Monti che nel 2012 che ha ulteriormente riformato la disciplina delle Popolari. “Peraltro – scrive il segretario generale dell’Associazione delle banche popolari – il decreto legge del 2015 ha bruscamente interrotto l’iniziativa di Autoriforma promossa dal settore, che aveva incaricato tre luminari quali i professori Tantazzi, Marchetti e Quadrio Curzio, di mettere a punto un intervento di ammodernamento della disciplina. Qualsiasi interlocuzione è stata resa impossibile da parte del Governo che ha rifiutato ogni confronto trincerandosi sempre dietro la formula salvifica del «ce lo chiedono l’Europa e i mercati». Richieste europee che, peraltro, ad oggi sono rimaste indimostrate quando non smentite”.

Più solide della media
Insomma, a muso duro contro Renzi. E va avanti De Lucia Lumeno citando i numeri delle Popolari che hanno “Core Tier 1 ratio pari al 15,6%, contro un dato richiesto dalla normativa prudenziale europea del 7%, mentre il Total Capital ratio è pari al 16,4% contro il corrispondente limite richiesto dalla normativa europea al 10,5%”. Sono cioè più solide del necessario e “nei 150 anni della loro storia, hanno contribuito in modo fondamentale allo sviluppo dell’Italia, e non solo in senso economico e finanziario”.

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