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I paladini dell’antipolitica tornano all’attacco contro il cosiddetto vitalizio dei parlamentari. Dopo essersi resi conto che ormai, dall’inizio del 2012 è diventata una pensione sottoposta – pro rata – al calcolo contributivo e alle medesime regole dei trattamenti ordinari (ancorché sarebbe possibile ed utile un ulteriore lavoro di armonizzazione) i Torquemada della lotta ai privilegi hanno preso di mira i cinque anni (ovvero i 4 anni sei mesi e un giorno) che fungono da soglia minima contributiva per ottenere, al momento dell’età pensionabile, la prestazione. Anzi, è su questo terreno che si gioca anche la data della scadenza della legislatura, dal momento che è diventata una prova di virtù, quasi una sfida, quella di impedire agli eletti per la prima volta nella XVI legislatura che non lo saranno più nella prossima, di poter godere dell’odioso privilegio. Eppure i cinque anni sono la soglia contributiva minima per chiunque sia in regime contributivo.

Basterebbe un po’ di fantasia e di cultura previdenziale per risolvere il problema una volta per tutte ricorrendo alle medesime regole valide per tutti i lavoratori e chiudendo così, per sempre, un’infinita polemica. Nell’ordinamento vigente non esistono (se non in casi eccezionali) forme di reddito che non siano sottoposte tanto al prelievo fiscale quanto alle ritenute previdenziali e che non concorrano, quindi, a determinare un trattamento pensionistico. Sarebbe assurdo se il principio non valesse soltanto per le indennità dei parlamentari, dei consiglieri regionali e, in generale, degli eletti. Si dovrebbe istituire, nei bilanci delle Camere, una gestione-stralcio che si prenda, necessariamente, a carico i trattamenti già erogati, magari ricorrendo ad una contribuzione di solidarietà di carattere strutturale.

I neo eletti (e quelli che già sono nel regime contributivo) dovrebbero essere iscritti alla Gestione separata dell’Inps, secondo le regole vigenti e alle condizioni stabilite per la loro posizione. Sono previste, infatti, aliquote diverse a seconda che si tratti di iscritti in via esclusiva, di persone già pensionate o di appartenenti ad altra gestione obbligatoria rispetto alla quale per i soggetti interessati, posti in aspettativa, opererebbe la contribuzione figurativa. Il regime dovrebbe essere quello vigente nella Gestione, sia per quanto riguarda la ripartizione dei versamenti, il loro accredito, i requisiti anagrafici e contributivi (sono sufficienti cinque anni di lavoro effettivo purché il montante versato, moltiplicato per i coefficienti di trasformazione, assicuri una pensione pari all’importo di 1,5 volte l’assegno sociale) il calcolo della prestazione. A 70 anni si prende comunque la pensione sulla base dei contributi versati, qualunque essi siano.  La riforma Fornero ha poi aggiunto, per coloro che sono interamente nel contributivo, una sorta di pensione anticipata a 63 anni purché i versamenti accreditati (per almeno 20 anni) consentano di raggiungere una pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale. Grazie al metodo contributivo, un giovane deputato, non più rieletto, si porterebbe appresso il proprio ammontare, aggiungendolo poi a quello maturato nella nuova attività. Gli altri avrebbero un assegno supplementare se già pensionati o una seconda pensione se iscritti, per la professione svolta, ad altra gestione obbligatoria. Tutto come gli altri italiani.

Barbagallo

Cosa penso delle polemichette sui vitalizi dei parlamentari

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