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La Corte Suprema americana ha deciso lunedì di volersi pronunciare sulla legittimità costituzionale del cosiddetto “travel ban” (o “muslim ban”), il divieto di ingresso introdotto dall’amministrazione per cittadini provenienti da alcuni paesi.

IL BAN

Si ricorderà che era stato introdotto tramite un ordine esecutivo del presidente Donald Trump – ossia un decreto con applicazione immediata – pochi giorni dopo l’insediamento. L’ordine bloccava gli ingressi negli Stati Uniti da sei paesi a prevalenza musulmana – Sudan, Siria, Iran, Libia, Somalia e Yemen – e stoppava anche i programmi di accoglienza per i rifugiati. Aveva un temporalità: 90 giorni, quelli necessari, secondo l’amministrazione Trump, per rimettere in ordine il sistema di sicurezza sugli ingressi nel paese (per il programma-rifugiati il tempo saliva a 120).

UN ORDINE CONTROVERSO

La decisione si era portata dietro ogni genere di polemica, era sta parzialmente e rapidamente rivista, ma alla fine era stata lo stesso sospesa da due corti federali che avevano sostanzialmente detto che si trattava di un provvedimento discriminatorio e per questo era stato immediatamente sospeso su tutto il territorio. Altre due corti successivamente, mentre la Casa Bianca premeva per la riattivazione, ne avevano confermato l’inattuabilità. A quel punto Trump aveva deciso di ricorrere alla Corte Suprema, che è l’organo giurisprudenziale più alto negli Stati Uniti, e dà sentenze inappellabili.

LA RIATTIVAZIONE PARZIALE

Per il momento i giudici della Corte hanno deciso di riattivare l’ordine esecutivo in maniera parziale. Sarà operativo entro 72 ore (ossia da giovedì): potranno entrare sul suolo americano soltanto i cittadini di quei sei paesi che dimostreranno di aver un legame legittimo negli States, vale a dire un ricongiungimento famigliare, un interesse lavorativo, la relazione con qualche organizzazione americana (in primis ragioni di studio). Per questi varranno le normali – e già rigide – procedure d’ingresso. Gli altri resteranno fuori, e l’e.o. di Trump resterà in piedi in misura sordinata almeno fino a ottobre, quando i giudici della Corte esprimeranno il proprio parere sulla costituzionalità del provvedimento, ossia cercheranno di capire se è in contrasto col Primo Emendamento, quello che garantisce la libertà religiosa.

È DISCRIMINATORIO?

Il punto attorno cui sono ruotate sospensioni e (non)riattivazioni è proprio questo. Ci sono due scontri legali a cui la Corte Suprema metterà fine: uno tra il governo americano e i due tribunali federali, e un altro tra amministrazione e un’associazione per i diritti civili. Per il momento le corti che hanno bloccato il ban hanno dato ragione a chi diceva che dietro non c’erano semplici (in realtà complicatissime) ragioni di sicurezza, ma una discriminazione contro i musulmani. E come prove sull’intento discriminatorio di fondo sono stati portati tweet e dichiarazioni dell’attuale presidente risalenti ai tempi in cui ancora era un candidato repubblicano che captava consensi anche urlando cose tipo ‘se vinco vieterò l’ingresso nel Paese a tutti i musulmani’.

LA REAZIONE

Trump ha celebrato la cosa come una vittoria, “un chiaro successo per la sicurezza nazionale”: “Come presidente, non posso permettere che la gente [entri] nel nostro paese per farci del male. Voglio gente che può amare gli Stati Uniti e tutti i suoi cittadini, e chi sarà laborioso e produttivo”, è il commento nello statement di Trump. Due giornalisti che si occupano di faccende legali e diritti per Slate, hanno commentato che la decisione presa al momento dalla Corte può essere vista come positiva da entrambi i fronti: per i trumpiani è un successo perché, seppur in misura ridotta, rende copertura giuridica al provvedimento; per i democratici e per le posizioni più di sinistra è buona perché permette comunque di mantenere le frontiere aperte per un set di persone.

trump, dollari

Il travel ban di Trump è stato parzialmente riattivato dalla Corte Suprema

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