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(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

Paradossalmente, ma non troppo, mai ritorno come quello appena vantato e riconosciuto a Silvio Berlusconi con le numerose e importanti vittorie nei ballottaggi comunali, a cominciare dalla Genova ex rossa, è stato così scomodo per il principale interessato. Che avrebbe avuto interesse, sempre paradossalmente ma non troppo, ad un risultato più contenuto. Come lui raccomanda di essere ai suoi avversari quando lo attaccano troppo, con sconfinamenti nelle vicende personali, anche quando non c’entrano, o c’entrano solo di striscio nella sua avventura politica ormai ultraventennale.

Si può ben dire che l’ex Cavaliere, ancora in attesa anche di una riabilitazione giudiziaria in sede europea dopo la condanna definitiva per frode fiscale, nel 2013, e la conseguente decadenza dal Parlamento, vince ma non gode. O canta vittoria più per dovere di copione che per convinzione, sapendo bene che è una vittoria più di Pirro che vera, specie nel contesto di un astensionismo da capogiro. È infatti un successo che Berlusconi non può aggiudicarsi del tutto e che nell’ambito del centrodestra rafforza più la Lega di Matteo Salvini che la sua Forza Italia, e in Forza Italia più gli amici per disciplina che quelli per convinzione.

La prova di questa situazione, ripeto, paradossale ma non troppo sta nella preferenza che l’ex Cavaliere continua a dare, anche dopo i vittoriosi ballottaggi comunali, ad una nuova legge elettorale più proporzionale che maggioritaria. Che pure – quella maggioritaria, di qualsiasi tipo, con o senza collegi uninominali, con o senza grandi premi di governabilità – dovrebbe essere da lui sostenuta se volesse davvero scalare il governo con una riedizione del centrodestra, capace di vincere anche in un quadro cosiddetto tripolare, prevalendo sia sull’improbabile coalizione “larga” di centrosinistra, con Matteo Renzi oggettivamente indebolito dai ballottaggi, sia sui solitari grillini, inchiodati alla loro vantata e presunta “diversità” come i comunisti degli anni peggiori, non migliori, del berlinguerismo.

Una vera coalizione elettorale a livello nazionale con la Lega e la destra di Giorgia Meloni, più i frammenti centristi considerati perdonabili di tradimento e quant’altro, diventerebbe scomodissima per Berlusconi con l’applicazione al Senato dell’Italicum corretto dalla Corte Costituzionale. Che è notoriamente basato sul premio di maggioranza alla lista, per cui obbligherebbe il presidente di Forza Italia ad un listone unico con gli alleati, aumentando nel cosiddetto centrodestra il potere contrattuale di Salvini.

L’ex presidente del Consiglio potrà pur continuare a vantarsi della sua collocazione “moderata”, in Italia e in Europa, dove appartiene allo stesso partito della cancelliera tedesca Angela Merkel, ma la consistenza elettorale della sua Forza Italia non è più doppia o addirittura tripla rispetto alla Lega, ma pari, o quasi. E da questa condizione ne derivano tante altre, tutte scomode per Berlusconi: a cominciare dalla cosiddetta leadership, a prescindere dalla questione pur rilevante della candidabilità ancora preclusagli per ragioni giudiziarie alla carica di parlamentare, e ancor più a quella di presidente del Consiglio.

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