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Ieri a Palazzo Chigi, giusto per fare un po’ di PR, si è tenuta la cerimonia della relazione sulla revisione di spesa pubblica, per gli amici spending review. L’ha officiata, alla presenza del premier Paolo Gentiloni, il commissario per la revisione, Yoram Gutgeld. Non c’è moltissimo di inedito da dire, rispetto agli analoghi numeri dello scorso anno ed alla metodologia adottata. Quindi ci limiteremo a ribadire i concetti.

Lo scorso anno Gutgeld e Renzi parlavano di “riduzione di spesa pubblica” per 25 miliardi, citando i dati della Ragioneria Generale dello Stato (RGS). Purtroppo per loro, furono sgamati pressoché immediatamente da Veronica De Romanis, che fece notare che, a fronte di questo poderoso taglio, la riduzione effettiva di spesa pubblica era solo di 360 milioni di euro, di cui 319 milioni imputabile alla componente in conto capitale. Gutgeld rispose di sprone, usando la solita argomentazione che ruota attorno ai maledetti 80 euro dello sgangherato bonus renziano. Riferendosi ai dati del 2015, disse infatti: “(…) la spesa corrente l’anno scorso era quasi 12 miliardi di euro più bassa che nel 2014 (749,6 miliardi contro 761,5 miliardi, classificando gli 80 euro per quel che sono, una riduzione di tasse)”.

Al solito, ci coglie lo sfinimento. Ma se osservate la tabella usata stamane da Gutgeld (slide 9), vedrete che quell’importo tende – ovviamente – a ricorrere in tutti questi anni, finendo a rappresentare circa la metà della cosiddetta riduzione di spesa. Nella presentazione di ieri, per evitare di incorrere negli stessi rilievi dello scorso anno, Gutgeld presenta fonti e impieghi. Cioè precisa a cosa è stata destinata la “cosiddetta riduzione di spesa”. Lo vedete nella slide 10 del documento, ve lo riepiloghiamo noi per praticità:

– riduzione del deficit dal 3% al 2,1%;
– riduzione della pressione fiscale dal 43,6% al 42,3%;
– ampliamento e ammodernamento dei servizi pubblici (nientemeno), tra cui svetta la voce “Prestazioni sociali” per ben 12,7 miliardi;

Ora, seguite il dito e arriverete alla luna: il calo della pressione fiscale è indicato con asterisco, perché vi entri nella testolina che qui stiamo “calcolando gli 80 euro come riduzione di tasse” (è in fondo alla slide 10). Poi, tenete presente che la voce “prestazioni sociali” di maggiore spesa pubblica, sono quasi esclusivamente gli 80 euro. Quindi:

– dapprima si tolgono dalla spesa gli 80 euro, perché “è riduzione di tasse”, e quindi ecco che si ottiene circa la metà dei “risparmi”;
– poi si riduce la pressione fiscale della misura degli 80 euro, e si fa la ruota come i pavoni;
– infine, si dice che la minore spesa, di cui però circa la metà erano gli 80 euro che sono “minori tasse” è andata a finanziare altra spesa, sotto forma di “prestazioni sociali”, cioè la contabilizzazione degli 80 euro.

Ma a voi sembra possibile giocare a questo modo con le tre carte? Tralasciamo aver messo tra gli “impieghi” il calo del deficit, perché un impiego sarebbe l’esatto contrario, cioè il suo aumento. Ovviamente, non si dice che il deficit-Pil cala perché siamo in espansione, e infatti la stessa metrica corretta per la fase del ciclo economico mostra che abbiamo aumentato e non ridotto il ricorso al deficit. Ma pazienza, ormai siamo rassegnati a dover trattare con questa gente, che fa della contabilità creativa una filosofia di vita. Funziona così: fai deficit, usalo per dare una mancia, grida sui tetti che è una riduzione di tasse, ricalcola la spesa pubblica togliendo da essa la mancia, sostieni quindi che le spese sono diminuite perché hai messo una voce contabile dal lato sbagliato, e hai vinto la bambolina del moto perpetuo. Ah, e la differenza la fai a deficit, con una bella sceneggiata contro “gli ottusi burocrati di Bruxelles”.

Prendiamo per un momento per buono l’approccio governativo. In pratica, ci viene detto, non serve la riduzione assoluta della spesa pubblica ma solo la sua ricomposizione, perché in questo modo non andiamo a deprimere la crescita ma auspicabilmente la rilanciamo, attraverso un moltiplicatore più elevato (gli americani direbbero “more bang for the buck“). Argomentazione molto suggestiva, in effetti. Ma se la metà di questo taglio di spesa è un’illusione ottica contabile e tutto ciò che siamo riusciti a fare in tre anni è stato deficit pro-ciclico, fingendo invece che sia diminuito (ma non è diminuito, perché nel frattempo c’è in corso una ripresa, quindi si sarebbe dovuto ridurre ben di più), la conclusione a cui arriviamo è che abbiamo solo scalfito la spesa totale, come mostra la sostanziale stabilizzazione della spesa nominale per consumi finali) e avremo comunque seri problemi alla prossima recessione.

Nel frattempo, i nostri media potranno dilettarsi col titolo da stato etilico di questo pezzo del Financial Times, solo per scoprire che la zuffa tra titolisti ed articolisti prosegue anche oltre confine. Ma nel frattempo, l’ufficio PR del governo si è portato a casa un’altra volta la pagnotta.

Personalmente, ritengo che di spending review abbiamo parlato anche troppo. Al netto delle termiti pubbliche che estraggono il loro pizzo dalla spesa, l’incidenza di quest’ultima sul Pil potrà variare in modo significativo solo cambiando il perimetro dello Stato. Tutte le altre vie producono solo illusioni ottiche, furbate stile Renzi e un serio rischio di deterioramento della qualità della spesa, già di suo non eccelsa. Ma c’è un punto su cui serve riflettere: la spesa pensionistica, da noi, è circa 3 punti percentuali di Pil superiore a quella media dell’Eurozona, e 4-5 punti percentuali più di quella tedesca, britannica, olandese, spagnola. I commenti li lascio a a voi. La crisi demografica ed i generosi metodi di calcolo delle pensioni usati nei decenni precedenti (uno schema Ponzi devastante) renderanno le nostre esistenze assai difficili, nei lustri a venire. A meno di riuscire a crescere più dell’1 per cento, s’intende.

La spending review, gli 80 euro e i maquillage

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