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“La nazione del Qatar, purtroppo, è stato un finanziatore del terrorismo a un livello molto alto” ha detto venerdì il presidente americano Donald Trump durante una conferenza stampa dalla Casa Bianca: “Ho deciso, insieme con il Segretario di Stato Rex Tillerson, i nostri grandi generali, e militari, che è giunto il momento di chiamare in Qatar per fermare il suo finanziamento. Devono finire i finanziamenti. E la sua ideologia estremista in termini di finanziamento”.

Ma soltanto un’ora prima che Trump pronunciasse queste parole, Tillerson era in conferenza stampa nella sede del dipartimento di Stato a dire che era necessaria una de-escalation sulla crisi del Golfo, e che Arabia Saudita, Emirati e gli altri paesi arabi che si sono schierati contro il Qatar (isolandolo diplomaticamente e non solo) dovevano iniziare ad alleggerire le misure sanzionatorie “per mettere in moto uno sforzo in buona fede per risolvere i rancori che hanno l’un l’altro”.

Martedì il presidente americano aveva già intrapreso una linea dura contro Doha, ricordando il suo recente viaggio a Riad, durante il quale gli alleati americani avevano preso l’impegno di combattere contro il terrorismo – ed era stato ansioso di dire che la mossa contro il Qatar era il primo passo in rispetto alla promessa fatta a Washington.

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La diplomazia americana, guidata da Tillerson (che in quei giorni era in viaggio in Australia) e sollecitata anche dall’ambasciatrice in Qatar, Dana Shell Smith, in quegli stessi di giorni cercava invece di battere su una via più misurata, sulla possibilità di mettere le parti a un tavolo e farsi da mediatore.

Shell Smith ricordava la grande collaborazione tra America e Qatar – anche nella lotta al terrorismo. Ad Al Udeid, infatti, appena fuori dall’area industriale a sudovest di Doha, c’è l’hub del CentCom americano, il comando del Pentagono che si occupa di Medio Oriente. Una base, spostata là dall’Arabia Saudita nel 2003, che ospita 11mila militari statunitensi e che richiama necessariamente alla moderazione.

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Secondo alcune fonti interne alla Casa Bianca, raccolte dai giornalisti Brian Williams e Nicolle Wallace della MSNBC, “è possibile che [Trump] non sapesse” che gli Stati Uniti avevano in Qatar la più grande base mediorientale americana e per questo martedì aveva fatto quelle dichiarazioni su Twitter.

Poi mercoledì il presidente americano aveva personalmente telefonato all’emiro del Qatar, parlando della linea moderata dettata dalla sua diplomazia, e proponendosi come elemento di bilanciamento in un eventuale negoziato che avrebbe messo gli Stati Uniti al centro delle dinamiche regionali in Medio Oriente (non esattamente quello che i teorici del trumpismo intendono quando sostengono la necessità che l’America torni nazione e rinunci al ruolo d’impero).

Ecco come Trump ha smentito Tillerson sul Qatar

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