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Un ricordo personale. Lui era un ingraiano, io un migliorista. Lui un capo del Pci – un leggendario, nobile e aristocratico partigiano -, io un provinciale e giovane funzionario di federazione. Ero noto per le mie intemperanze e caparbietà di comunista di destra. Lontanissimo, come i poli opposti, dalle posizioni di Alfredo.

Correva il 1986, l’anno del XVII congresso del Pci. Ero funzionario della federazione di Napoli. La mia federazione era attraversata da una lotta politica interna, a tratti furibonda, tra gli ingraiani (guidati da Antonio Bassolino) e i riformisti – come ci chiamavano allora (riformista era un dispregiativo nel Pci di allora) – guidati da Giorgio Napolitano. Perdemmo il congresso. Fu una tragedia umana per alcuni di noi: io dovetti lasciare il mio lavoro di funzionario e allontanarmi da Napoli. Fu durissimo. Potevo finire male. Mi aiutò il mio amico Claudio Velardi. A sorpresa fu Reichlin, allora responsabile economico del Pci che, mediato da Claudio, mi salvò.

Mi offrì il posto di suo collaboratore a Roma. Ricordo che quando Velardi, mio vicino di casa, me lo comunicò ero a letto con la febbre. Febbre da congresso. Reichlin era capo della Sezione Economia del Pci. Mi offrì di diventare responsabile delle fabbriche: una cosa, capirete, prestigiosissima in un partito operaio come il Pci. E poi data a me, comunista di destra, amendoliano e seguace irriducibile di Napolitano e Gerardo Chiaromonte, capi riconosciuti della sensibilità (si chiamavano così le correnti) riformista e dei togliattiani di “destra” del Pci.

Non me l’aspettavo: diventare, io riformista e legato a Napolitano e Chiaromonte, strettissimo collaboratore di Reichlin e, per di più, alle fabbriche, proprio non me l’aspettavo. Lui diceva di stimare la mia preparazione. E di trovarmi un simpatico napoletano. Noi napoletani godiamo, per natura, di questa piccola franchigia della simpatia, che spesso ci aiuta. Alfredo amava molto civettare con la storia delle correnti e con la sua nomea di “togliattiano di sinistra” e protagonista – ci teneva molto da ingraiano – dell’epopea dell’XI congresso del Pci: il vero spartiacque, per noi ex comunisti, della nascita delle due anime, di destra e di sinistra, del Partito; degli ingraiani e degli amendoliani.

Che storia! Eravamo, con Alfredo, su posizioni opposte ma stabilimmo un bellissimo rapporto. Lui era fluviale e tenacissimo nelle sue idee ingraiane di cui non condividevo nulla. Ma ci divertivamo. Oltre il lavoro, cazzeggiavamo di politica e correnti. Alfredo era un intellettuale che preferiva la polemica culturale al lavoro di partito. E ci facevamo tirate divertentissime in cui lui poteva sfogare su di me l’asprezza (cordiale) dei suoi dissensi radicali dai miei capi ( Napolitano, Chiaromonte, Macaluso, Bufalini) e io sfogavo, benevolmente, su di lui la mia feroce distanza dagli ingraiani e dal mio amico Bassolino, di cui mi definivo scherzosamente (ma non tanto) lo sconfitto “esiliato”.

Era uno spasso. I conflitti nella sua generazione, tra quegli uomini che erano diventati costruttori del Pci di Togliatti nel dopoguerra, erano epica politica e culturale. Niente della banale lotta di gruppi e correnti che conosciamo oggi. È niente a che vedere con la banale narrazione (falsa) del centralismo burocratico e chiesastico del partito comunista. Allora ce le davamo di santa ragione nel Pci. Ma si era anche amici e ci si divertiva a darsele. Il lavoro di funzionario di partito, per me, non è mai stato tanto divertente come quel lungo periodo a Botteghe Oscure nello staff di Alfredo Reichlin.

Mi coinvolgeva, me migliorista, in tutti i suoi rapporti. I pomeriggi e le serate, nella sua bellissima casa di via Dandolo, con la sua meravigliosa compagna, erano indimenticabili. Ho incontrato persone autorevolissime. Lui mi presentava come un “simpatico napoletano e destro pericoloso” ma mi associava a quasi tutte le sue relazioni sociali e politiche. Per me, giovane dirigente, quegli incontri erano una lezione universitaria. Imparai a volergli bene. E, proprio mentre la distanza politica e di corrente si faceva ogni giorno maggiore. Fino alla fine del Pci.

Ho imparato da Reichlin. E del mio lavoro con lui mi resta impressa nel cuore la bellezza di un partito, l’unico partito della mia vita, il Pci, in cui la lotta di corrente, come l’ho conosciuta io, non era incomunicabilità, crudeltà, slealtà, inimicizia, veleno. Come è oggi nei partiti attuali. Compreso il Pd a cui mi sono iscritto. Come sposo ad una seconda moglie Ma senza più nemmeno un po’ dell’amore provato per la prima.

Ciao Alfredo. E grazie dell’aiuto che mi hai dato. Senza di esso la mia vita sarebbe stata diversa e peggiore. Sei stato importante per me. E, anche, discreto.

Alfredo Reichlin

Io, migliorista, celebro l'ingraiano Alfredo Reichlin

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