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L’economia degli Stati Uniti continua a viaggiare a gonfie vele: nonostante la stretta monetaria messa in atto dalla Federal Reserve la tanto annunciata recessione non si è verificata, e anzi il Pil degli Usa continua ad espandersi ai ritmi più alti dell’intero Occidente. Il mercato del lavoro è molto forte, con la disoccupazione che per 27 mesi consecutivi si è mantenuta al di sotto del 4%. Sembrerebbe il contesto ideale per Joe Biden, presidente uscente in cerca di una riconferma alle elezioni di novembre. E invece Donald Trump continua ad andare forte nei sondaggi, anche grazie a una propaganda basata su un quadro economico a tinte fosche. Perché accade questo e come le diverse narrazioni, Repubblicane e Democratiche, potrebbero influenzare l’esito delle elezioni?

C’è stato modo di discutere di questi temi in un convegno che si è tenuto nei giorni scorso presso il Centro Studi Americani ed al quale ho partecipato come presidente di Diplomatia. Riprendendo il vecchio adagio (ma sempre attuale) che aveva caratterizzato la vincente campagna elettorale di Bill Clinton nel 1992 – It’s the economy, stupid! – il residente in carica sa bene che l’andamento dell’economia è fondamentale: infatti, la partita elettorale a novembre si deciderà non tanto sui dossier di politica internazionale (a cui l’americano medio presta poca attenzione) quanto sulla percezione di come sta andando l’economia.

Partendo da questo assunto, dovremmo pensare che la Bidenomics, basata su una forte espansione della spesa pubblica anche per consentire agli Usa di ripartire dopo le difficoltà generate dalla pandemia, dovrebbe premiare l’amministrazione uscente. Eppure Trump, sia nelle primarie che ora in questo inizio di campagna per le presidenziali, ha battuto molto su questo tasto dipingendo una situazione drammatica per l’economia Usa, con le famiglie statunitensi che sarebbero messe in ginocchio dall’inflazione, i conti pubblici disastrati dall’eccessiva spesa pubblica destinata all’accoglienza degli immigrati, e un tessuto produttivo e industriale fiaccato dalla concorrenza cinese.

Ma è proprio così? In realtà, contrariamente alla retorica trumpiana, come si diceva in precedenza l’economia Usa continua ad essere molto robusta, tanto che i timori di un “hard landing” (recessione in seguito alla restrizione monetaria) sono ormai vanificati. Il Pil cresce al ritmo più veloce dell’intero Occidente: nel 2023 l’economia si è espansa del 2,5%, più del doppio della stagnante Europa, mentre tra il 2019 e il 2023 il Pil reale degli Usa è cresciuto dell’8% a fronte di un misero 3% dell’Area Euro; l’inflazione è scesa al 3% (anche se manca ancora un po’prima che possa convergere verso il target del 2%), la produttività oraria è salita del 6% mentre in Eurozona è rimasta praticamente piatta (+0,6%).

In più, grazie all’Inflation Reduction Act nell’arco di un decennio saranno iniettati nel sistema economico un’enorme quantità di soldi pubblici (circa 370 miliardi di dollari), al fine di rivitalizzare il tessuto industriale americano puntando sulle nuove tecnologie green e cercando così di recuperare quote di mercato alla Cina (che ad oggi fa la parte del leone in questo ambito). Certo, questo potrebbe andare a discapito della tenuta dei conti pubblici americani, con il deficit che sta raggiungendo livelli record e che quest’anno potrà raggiungere il 6,7% del Pil.

Tuttavia, sono molti gli elettori americani che non sembrano persuasi dall’andamento dell’economia – oggettivamente positivo – o dalle politiche espansive messe in campo dall’amministrazione democratica. Come si spiega tutto ciò? A mio parere i motivi principali sono tre. Il primo è l’importanza delle percezioni: Trump e il suo entourage si sono dimostrati molto abili nel restituire al pubblico un’immagine dell’economia statunitense che è diversa dalla realtà. Gli Usa sono stati dipinti come un Paese divorato dall’inflazione (che è stata sì molto elevata negli anni scorsi ma che è ormai in netto calo) e sull’orlo della recessione. La retorica trumpiana ha anche sventolato davanti agli occhi degli elettori repubblicani la minaccia dell’immigrazione clandestina che “ruberebbe” il lavoro ai cittadini. Ma la disoccupazione si mantiene ai minimi da decenni, con le aziende che competono tra loro per accaparrarsi i lavoratori disponibili (in numero insufficiente) e spingendo così i salari verso l’alto.

Il secondo è la forte polarizzazione interna all’elettorato Usa: i cittadini sono talmente divisi tra Repubblicani e Democratici che, pur di sostenere il proprio candidato di riferimento, sarebbero disposti ad accettare qualunque tipo di narrazione anche se questa dovesse andare contro i dati e la realtà oggettiva. Il terzo è l’elevata disuguaglianza sociale ed economica che caratterizza gli Stati Uniti: nonostante l’elevata ricchezza, le disparità tra le fasce sociali più abbienti e quelle più svantaggiate sono un problema crescente che purtroppo l’amministrazione Biden non è stata in grado di affrontare in maniera risolutiva. E su questo terreno la narrativa trumpiana trova gioco facile nel mietere consensi.

Insomma, in un contesto del genere è difficile pensare di spostare i consensi di chi è già convinto di votare per uno dei due schieramenti. Nonostante i buoni risultati economici, Biden non riesce dunque a decollare nei consensi mentre una visione negativa della realtà socio-economica, amplificata dai mass-media del campo repubblicano, favorisce Trump. La comunicazione avrà dunque un ruolo chiave nel determinare il risultato della competizione elettorale. Speriamo, in nome della democrazia e della trasparenza, che la contesa tra Biden e Trump non si riduca in una lotta all’ultima fake news.

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Nonostante i buoni risultati economici, Biden non riesce a decollare nei consensi mentre una visione negativa della realtà socio-economica, amplificata dai mass-media del campo repubblicano, favorisce Trump. La comunicazione avrà dunque un ruolo chiave nel determinare il risultato della competizione elettorale. L’analisi di Giovanni Castellaneta

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