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“Guerra totale” è una locuzione relativamente giovane, concepita e raffinata da alcuni teorici della dimensione strategica tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, utilizzata per indicare forme di conflitto in cui gli Stati coinvolti impiegano tutte le risorse a loro disposizione, e non solo quelle militari, per avere la meglio sui propri avversari. Locuzione giovane, per un concetto che giovane non è: nel corso della Storia ci sono innumerevoli esempi di guerre a diverso grado di intensità (e di convenzionalità) che posso a ragione essere incluse in questo macro-insieme. Tuttavia è con le due guerre mondiali, e in particolare con la seconda, che il concetto di guerra totale trova massima applicazione. O almeno, lo ha fatto fino ad ora.

Di recente la rivista americana Foreign Affairs ha pubblicato un articolo di riflessione su questo concetto, a firma di Mara Karlin. Professoressa presso la Johns Hopkins University’s School of Advanced International Studies, visiting fellow per la Brookings Institution, nonché assistente al Segretario della Difesa statunitense con la delega per “Strategy, Plans, and Capabilities”, nel suo intervento Karlin analizza le diverse modalità in cui la guerra è stata condotta durante le varie fasi storiche, dalla Guerra Fredda fino al momento unipolare americano e al successivo periodo della “Guerra al Terrorismo”, fasi in cui la conduzione dell’attività bellica viene vista come “circoscritta” rispetto alla vita della società civile occidentale e globale. Caratteristica che non sembra invece essere presente nel momento attuale, avviatosi con l’invasione dell’Ucraine nel febbraio del 2022. “È finita l’era della guerra limitata ed è iniziata quella del conflitto totale. In effetti, ciò a cui il mondo sta assistendo oggi è simile a ciò che i teorici del passato hanno chiamato ‘guerra totale’, in cui i combattenti attingono a vaste risorse, mobilitano le loro società, danno priorità alla guerra rispetto a tutte le altre attività statali, attaccano un’ampia varietà di obiettivi e rimodellano le loro economie e quelle di altri Paesi”, scrive Karlin, “ma grazie alle nuove tecnologie e ai profondi legami dell’economia globalizzata, le guerre di oggi non sono solo una ripetizione di vecchi conflitti”.

Ovviamente, le dinamiche sono cambiate. L’avvento di nuove tecnologie come quella dell’Intelligenza Artificiale, o un miglioramento accompagnato da un’estensiva diffusione della stessa, come avvenuto con i sistemi unmanned, hanno trasformato profondamente l’aspetto operativo della guerra presente e futura (seppure queste evoluzioni futuristiche si accompagnino talvolta a sfumature retrò: basti pensare ai campi di battaglia ucraini, dove sciami di droni operano al di sopra di reti di trincee che sembrano arrivare direttamente dalla Grande Guerra). Trasformazione che non si è limitata soltanto all’aspetto tattico, ma che ha avuto ovviamente impatti anche sul piano operativo e su quello strategico. In particolare Karlin rimarca la maggiore centralità della dimensione marittima, le forme di assistenza a Paesi partner, nonché l’interoperabilità tra le forze armate dei membri di una coalizione.

Ma in questa moderna (e relativamente nuova) realtà si stanno riaffermando logiche collegate al “mondo che fu”. Esemplare il caso della deterrenza, sia nelle “storiche” forme di deterrence by punishment e by denial, che nella “nuova veste” di deterrence by resilience, definita da Karlin come “la capacità di resistere, di combattere e di riprendersi rapidamente da una evento disruptive”. Accanto a quello della deterrenza anche il fenomeno del signaling ha recuperato la prominenza che aveva durante il secolo passato: la comunicazione efficace, sia nella forma diretta che in quella indiretta, permette di evitare un ulteriore allargamento dei conflitti già esistenti, o un’escalation violenta nelle aree dove la tensione internazionale raggiunge livelli critici.

“Il contesto di sicurezza globale di oggi è il più complesso dalla fine della Guerra Fredda. Imparare dalle guerre condotte da altri può essere difficile, ma in definitiva è meglio che imparare direttamente quelle lezioni. La distruzione e la perdita di vite umane in Ucraina e in Medio Oriente sono state strazianti”, afferma Karlin in chiusura della sua analisi, “Oltre ad aiutare i suoi alleati a prevalere in quei conflitti e a promuovere la pace, Washington dovrebbe prepararsi a combattere il tipo di guerra totale che ha dilaniato quei luoghi, che è il modo migliore per evitarla”.

Nuove logiche, vecchie dinamiche. La "guerra totale" di oggi secondo Karlin

Nel suo articolo su Foreign Affairs, l’esperta statunitense esplora il ritorno del concetto di “guerra totale” nell’era moderna, focalizzandosi su cosa cambia e cosa no rispetto al passato

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